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IL ROSSO E IL NERO: LA FESTA CONTINUA

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La Fed sopporterà con pazienza e indulgenza il boom
dell’economia e la ripresa dell’occupazione. Europa e Asia
fingono di lamentarsi. Il dollaro finge di fermarsi.
Dopo un Employment Report, un G7, un rapporto annuale della Casa
Bianca sull’economia e una prima giornata di audizione di Greenspan in
Congresso il dollaro è più debole, le borse sono più forti e i bond sono di nuovo
vicini ai massimi degli ultimi cinque mesi.

I tre spettri che agitano periodicamente i mercati negli ultimi tempi escono
ridimensionati da questi ultimi giorni ricchi di eventi. Ci riferiamo alla paura di
contrasti insanabili tra Stati Uniti e resto del mondo sul dollaro, alla paura di un
avvio imminente di un ciclo di rialzi dei tassi e alla paura di una fine vicina di un
ciclo di crescita che alcuni considerano drogato.
Sulla teoria che Europa e Asia non ne possono più di finanziare il deficit di
risparmio degli Stati Uniti e di perdere competitività attraverso il cambio, il G7
ha dato l’unica risposta possibile. La svalutazione del dollaro non è la malattia,
bensì la cura. E’ inevitabile e deve proseguire.

Si può discutere di dosi,
tecniche di somministrazione, effetti collaterali da minimizzare, ma alla fine la
cura è quella.
Il fatto che Europa e Asia si lamentino non significa nulla. Si lamentavano
anche quando il dollaro era forte. Il giochino propagandistico è sempre il solito.
Quando il dollaro è forte si accusa l’America di assorbire capitali (tacendo sul
fatto che assorbe nella stessa misura l’export europeo e asiatico). Quando il
dollaro è debole ci si lamenta per le difficoltà del nostro export e si tace sul
fatto che i capitali torniamo ad assorbirli noi.
Negli anni Ottanta la Bundesbank saliva in cattedra e ammoniva con il dito
alzato l’America spendacciona e cicala. Oggi, in condizioni analoghe, l’Europa
prega ogni giorno che l’America rimanga cicala mantenendo un dollaro
sopravvalutato.

In realtà aveva poco senso l’ostentazione di arroganza di allora
e ha poco senso l’ostentazione di impotenza e il vittimismo di adesso. America
e resto del mondo hanno colpe e meriti simmetrici ed è comunque interesse di
tutti ribilanciare gradualmente gli squilibri. Il dollaro, quindi, continuerà a
indebolirsi, ma la dose può essere ridotta. La parte finale della svalutazione
sarà molto più lenta.

Venendo ai tassi, si è molto discusso, in queste settimane, sul reale stato
del mercato del lavoro americano. Non si capisce se è stagnante o in buona
ripresa. Non lo si capisce perchè ci sono due modi di fare i calcoli che danno
da un anno risultati sempre più divergenti. E’ un po’ come il dibattito che c’è in
Italia su quanta sia l’inflazione, con l’Isae che dice 3 ed Eurispes che dice 8,
con la differenza che in America le due rilevazioni sono fatte dallo stesso ente
governativo.

E’ paradossale che il più importante dato macro del mondo, l’occupazione
americana, sia avvolto nella nebbia più fitta. Nel dubbio, i mercati e i candidati
democratici alla presidenza guardano all’Establishment Survey (che dice che
l’occupazione cresce poco e da poco tempo), la Casa Bianca guarda
all’Household Survey (che dice che cresce bene e da un anno) e la Fed,
giustamente, a entrambe le rilevazioni.
Quello che conta, tuttavia, è che, in ogni caso, il costo del lavoro per unità
di prodotto scende, le retribuzioni salgono poco e l’inflazione generale sta
ancora scendendo. Finchè è così la Fed ha buon gioco a tenere i tassi bassi e
Greenspan può spingersi audacemente a dire (non nel testo ufficiale, ma nella sessione di domande e risposte) che il Nairu è secondo lui, a naso, vicino al 4 per cento.

Il che,
tradotto in Basic Italian, significa che il tasso di disoccupazione può scendere
vicino al 4 per cento (ora è al 5.6) prima che si veda inflazione salariale.
Greenspan va dunque più in là di Bernanke, che ha detto in questi mesi che,
fino al 5 per cento, di problemi non ce ne sono.
Miele per le orecchie dei carry trader e miele anche per quei pochi rialzisti
(clandestini e non) che circolano nel mondo dei bond. Dal canto nostro, pur
essendo costruttivi sui bond ancora per qualche mese, raccomandiamo di non
esagerare. La volatilità è destinata ad aumentare.

Il terzo spettro, quello di una ripresa drogata con poca strada davanti a sè,
esce anch’esso ridimensionato dagli eventi di questi giorni. Se la Fed dichiara
di non avere intenzione di togliere il piede dall’acceleratore e se il dollaro
riprende, sia pure lentamente, a scendere è chiaro che la ripresa americana è
destinata a godere di ottima salute. La previsione ufficiale di crescita della Fed
per il 2004 (Q4/Q4), comunicata da Greenspan, è del 4.5-5 per cento. Più alta,
facciamo notare, della stima di consenso.
Per le borse, di conseguenza, la tendenza di fondo rimane rialzista. Con
qualche avvertenza da tenere presente prima di vendere la casa per comprare
azioni. Si comincia ad avvertire nel rialzo, oltre alla sana presa d’atto del forte
miglioramento degli utili sottostanti, una certa espansione dei multipli. Inoltre, a
proposito di utili, la crescita dei margini sarà frenata a partire dal momento in
cui le aziende inizieranno sul serio ad assumere.

Potremo probabilmente
avere, come dice Greenspan, occupazione senza inflazione. Difficilmente
avremo però occupazione senza decelerazione della crescita della produttività
(e dei margini).
In questo contesto la borsa americana rimane la nostra preferita (a cambio
coperto, naturalmente). Non sono state poche, del resto, le società che nei
giorni scorsi hanno riportato volumi di vendite stabili, volumi di esportazioni
stabili e utili in forte crescita. Miracoli della svalutazione.

*Alessandro Fugnoli e’ strategist di Abaxbank