(22/03/03) Il rally tanto atteso, scaturito dallo scioglimento delle incertezze legate alla crisi irachena, procede inarrestabile oramai da otto sessioni consecutive. Si tratta indubbiamente del rally di mercato bear più massiccio dall’inizio del trend ribassista. Il recente rialzo delle borse americane si caratterizza infatti per essere il più forte degli ultimi venti anni. Come di fronte a un palcoscenico ben allestito, non si aspettava altro che l’inizio del conflitto per cercare di intervenire e correggere dei trend che stavano preludendo a una scomposta risoluzione finanziaria degli squilibri economici. Tutto si sta svolgendo secondo i preparativi, nella maniera più fluida che ci si potesse immaginare.
Le borse americane sono tornate rapidamente in territorio positivo da inizio anno. Quelle europee hanno recuperato gran parte delle perdite che erano oramai giunte a toccare anche oltre il -30% nel caso della borsa olandese, e il -25% nel caso di quella tedesca. Il dollaro ha recuperato molto del terreno perduto nei confronti delle principali valute mondiali. Le commodities sono state respinte duramente dai recenti massimi. Un sussulto di vittoria per tutto il mondo finanziario che prospera stampando e scambiando carta rappresentativa di utili fantasma, pro-forma, ebitda, ancora storicamente troppo bassi e non adeguati alle valutazioni correnti.
L’unico mercato non coerente all’ottimistico scenario in corso, accolto come il termine definitivo di ogni sofferenza per i mercati finanziari, sembra essere quello dei tassi di interesse. A dimostrazione che non esiste liquidità fresca sui mercati tale da spingere a un sano rialzo le borse, i titoli obbligazionari sono stati colpiti fortemente da un’ondata di vendite che ha riportato i tassi del decennale americano sopra il 4%, +57 basis point in sole sette sessioni, e del trentennale sopra il 5%.
Come sottolinea spesso Jim Puplava di FinancialSense.com, il mercato è mosso dalle percezioni degli investitori. Negli ultimi mesi i principali media finanziari americani hanno canalizzato i propri sforzi cercando di creare la percezione che ogni problema economico, e quindi di conseguenza la direzione dei trend primari dei diversi mercati, fosse legato esclusivamente alla crisi irachena. Obiettivo riuscito, ma niente di più falso. I trend primari in atto sono il frutto dei vasti squilibri che caratterizzano l’economia americana. Essi non sono risolvibili con una guerra che di fatto ne rappresenta l’effetto e non la causa, e tanto peggio che vìola, secondo alcuni, le leggi internazionali e che è causa di vasti dissensi all’interno dell’opinione pubblica.
A nostro avviso quindi, i movimenti dei mercati di questi giorni, rappresentano, ancora una volta, niente altro che un semplice trend secondario, in altre parole un ritracciamento all’interno del trend primario e contrario alla direzione di questo stesso. La durata di questo trend secondario è legata principalmente a due fattori. Il primo è l’evoluzione della guerra in corso: qualunque imprevisto è suscettibile di arrestare e invertire i trend in atto, per quanto il fenomeno sarà eventualmente contrastato dall’intervento delle banche centrali, almeno stando a quanto riporta un recente articolo della BBC. La Banca del Giappone e la FED si sono infatti dichiarate pronte a cooperare per supportare i mercati finanziari in caso di crisi. Moral hazard che si aggiunge a quello già alimentato negli ultimi anni e che fomenta nuova insana speculazione. Il secondo è il graduale ritorno verso la corretta osservazione e valutazione dei fondamentali economici, che presto o tardi riporterà nuovamente in primo piano sia l’inconsistenza dei profitti necessari a sostenere i prezzi attuali di borsa, che gli squilibri macroeconomici sottostanti il fenomeno, ancora esuberante, della bubble economy americana.
E’ anche nostra opinione che la corrente situazione stia preludendo a un aggravamento di questi squilibri macroeconomici, la cui correzione, lo ricordiamo, è stata finora impedita da un inusuale e insostenibile ricorso al debito, stimolato a sua volta dalla più mostruosa politica di riduzione dei tassi di interesse di ogni tempo. Qualunque fase di irrazionale euforia indotta dal successo degli eventi bellici rischia quindi di prolungare il vizioso e distruttivo ciclo di espansione economica basata principalmente sui consumi e caratterizzata da enormi distorsioni nel processo di allocazione dei capitali, che in ultima analisi rischierà di risolversi in una contrazione economica ancora più dura e violenta.
Come sottolinea Doug Noland di prudentbear.com un aspetto critico della situazione economica è la natura fortemente speculativa che caratterizza gli attuali mercati finanziari. Conseguenza diretta della massiccia inflazione degli aggregati creditizi, tale natura è fonte di una crescente instabilità. I numerosi interventi a salvataggio della bubble economy, più evidenti soprattutto negli ultimi mesi, hanno generato una liquidità molto spesso incontrollabile e reso l’instabilità una condizione permanente dei mercati finanziari.
Le dinamiche speculative in atto, sia nella fase di discesa che soprattutto in quelle di rialzo delle borse, sono esacerbate da tale afflusso di liquidità e suscettibili di trovare, sempre secondo Noland, una definitiva stabilizzazione solo grazie a una crisi di sistema. La continuazione incontrollata delle stesse dinamiche ha come effetto principale quello di impedire al mercato la corretta allocazione delle risorse e dei capitali. Un ambiente economico che Doug Noland definisce sempre più difficile per gli speculatori e praticamente inospitale per gli investitori.
Come evidenziato tempo fa, la situazione rispetto alla guerra del golfo è oggi notevolmente differente. La guerra fu allora la causa della breve recessione economica del 91-92. Oggi sembrerebbe essere invece la sospetta conseguenza della profonda crisi economica in atto. I trend primari furono allora interrotti dalle prospettive della guerra e ripristinati dopo di essa, mentre oggi i trend primari sono stati interrotti dal conflitto e verranno ragionevolmente ripristinati col termine delle ostilità (sempre che queste non portino, come è nostro timore, a instabilità geopolitiche ben più gravi e irreparabili, tali da condurre a un caos ancora maggiore). Tuttavia, come sostiene sempre Noland, è lo stesso panorama finanziario ad essere profondamente mutato. Laddove dodici anni fa la speculazione e l’effetto leva non avevano gran gioco sui mercati oggi questi due aspetti rivestono un ruolo dominante e pericoloso per l’evoluzione della situazione economica e degli squilibri che la caratterizzano.
A dimostrazione di questa tesi il fatto che dodici anni fa i tassi del decennale americano erano sopra l’8% e diretti versi livelli inferiori, a sostegno quindi di una sana ripresa economica, mentre oggi, dopo avere toccato i minimi degli ultimi 45 anni, anche per effetto del circolo vizioso indotto dalla bolla immobiliare in corso, sono in risalita e suscettibili di costituire un freno significativo alla presunta ripresa economica che dovrebbe seguire la risoluzione del conflitto bellico.
Secondo questa chiave di lettura, derivata dall’analisi economica e dei mercati finanziari, ciò che ci attende non è finalmente un periodo di stabilità e tranquillità economica, ma ancora un periodo di scomposte turbolenze, all’interno delle quali la continuazione dei presuntuosi tentativi di stabilizzazione da parte delle banche centrali rischia, in ultima analisi, di generare processi sempre più perniciosi sia per le dinamiche economiche che per quelle finanziarie.
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