
Se la volatilità rimbalza con forza dai minimi storici, le banche centrali dovranno premere il tasto reset: ricominciando da capo con le iniezioni di liquidità. Questo permetterebbe di evitare una volatilità pericolosa dei prezzi, in uno scenario che si rivelerebbe favorevole ai mercati finanziari. La verità è che non ci sono alternative al ricorso ai finanziamenti esterni e all’indebitamento degli agenti economici.
È il concetto espresso da Viktor Shvets, strategist di Macquarie, nel suo ultimo rapporto sulle previsioni di mercato, in cui l’analista arriva alla stessa conclusione cui è giunto Eric Peters di One River Asset Management nella nota pubblicata lo scorso fine settimana: l’andamento è positivo per gli asset finanziari su cui i due esperti continuiamo a rimanere rialzisti.
“Non perché crediamo in una ripresa sostenibile, trainata dal settore privato, ma piuttosto perché crediamo l’esatto contrario”. Secondo Shvets “non ci sono alternative alla progressiva finanziarizzazione“, che si ottiene tramite un eccesso di liquidità sui mercati e che consente di evitare di conseguenza una volatilità dei prezzi di mercato.
Anche se i banchieri centrali hanno “le migliori intenzioni”, il processo di rientro dalle politiche di stimolo monetario straordinario è tutt’altro che automatico e perciò potremmo assistere a mesi di volatilità prolungata (un po’ come accaduto da dicembre 2015 a febbraio 2016). “Se si ignorano le aberrazioni a breve termine, non c’è una alternativa valida alle politiche adottate dagli Anni 80 in cui sono stati deliberatamente repressi e gestiti i cicli di mercato e aziendali”.
Secondo Svhets “l’autunno di Kondratiev“, un periodo in cui Bond e Borse tendono a muoversi nella medesima direzione – anche per via dell’incapacità di aumentare il costo di capitale nel contesto di una crescita timida dell’economia e dell’inflazione – è destinato con ogni probabilità a continuare.
Nicolai Kondratiev era un economista russo che nel 1920 teorizzò il concetto dei cicli economici divisi per stagioni. Secondo lui prezzi, tassi di interesse, commercio internazionale e produzione di ferro e carbone nei paesi capitalisti si muovevano secondo onde temporali di 50-60 anni. Secondo la sua tesi i periodi di grande depressione sono una parte fisiologica e inevitabile del sistema capitalistico, che segue e precede periodi di crescita e ripresa economica.
“Due generazioni di investitori hanno vissuto senza conoscere altro: estati molto calde e inverni gelidi. Il settore pubblico non ha permesso che i debiti venissero ridotti o ripudiati. Anche se questo fenomeno non può durare per sempre, non ci sono motivi validi per pensare che finisca nel 2018 o nel 2019”. È vero che “i rischi politici sono cresciuti, ma è cresciuta anche la consapevolezza dei pericoli” da parte delle autorità.
In sintesi le banche centrali sarebbero in trappola per via delle bolle di asset alimentate dalle loro politiche di Quantitative Easing e tassi sotto zero. Con il ritorno della volatilità e con una possibile contrazione dei prezzi degli asset finanziari, i banchieri non avranno altra scelta se non quella di tornare sui loro passi, interrompere i programmi di uscita dai 15 mila miliardi di dollari di manovre accomodanti e impedire di vanificare un decennio di creazione di benessere finanziario, ma non reale.