Economia

Il mercato del lavoro spiana la strada a nuovi rialzi dei tassi della Fed

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Nessun cambio di marcia atteso. La Federal Reserve (Fed) continuerà ad alzare il costo del denaro per tenere sotto controllo l’inflazione. Il disco verde è arrivato dal rapporto sull’occupazione di settembre, l’ultimo prima del meeting di inizio novembre, che ha fornito sia la garanzia che il mercato del lavoro rimane forte sia che la banca centrale Usa dovrà fare di più per rallentarlo.

Le buste paga del settore non agricolo hanno subito un modesto rallentamento con un ritmo ancora superiore al trend, passando da 315.000 in agosto a 263.000. Associato ad un piccolo passo indietro nella partecipazione alla forza lavoro, dopo il rafforzamento di agosto, ciò è stato sufficiente per vedere il tasso di disoccupazione scendere al 3,5%.

Secondo gli analisti di Pimco, “il rapporto sui salari non ha modificato le prospettive della Fed di aumentare i tassi di interesse di altri 75 punti percentuali a novembre, puntando a un tasso del 4,5-5% prima di sospendere il ciclo dei rialzi. L’aspetto positivo per i policy maker della Fed è stato che la retribuzione media oraria è stata inferiore al previsto (+0,3% mese su mese contro lo 0,4% mese su mese), anche se i salari stanno aumentando ancora a un ritmo scomodo del 5% anno su anno in generale e del 5,75% per i lavoratori non addetti alla supervisione”.

Ora, dicono gli esperti “l’attenzione si sposta ora sul rapporto Cpi di settembre, dove ci aspettiamo un altro dato sull’inflazione core solido (0,5% mese su mese). I tassi d’inflazione core, superiori all’obiettivo della banca centrale, appaiono ora più consolidati e, sebbene sia ancora probabile che l’inflazione headline si moderi nell’arco del nostro orizzonte ciclico, ora sembra che sia necessario più tempo”.

Cook (Fed): “Inflazione troppo elevata, avanti finché il lavoro non sarà finito”

Conferme che la Fed non cambierà la traiettoria, nonostante il rischio recessione è arrivato anche da Lisa Cook, membro del Board of governors della Fed, nel suo intervento via web in un incontro organizzato dal Peterson Institute of International Economics:

“L’inflazione è troppo elevata, ha aggiunto, deve scendere e noi continueremo fino a che il lavoro non sarà terminato. Il ripristino della stabilità dei prezzi  richiederà probabilmente rialzi continui dei tassi e poi il mantenimento di una politica restrittiva per un certo periodo fino a che non saremo convinti che l’inflazione è saldamente sulla buona strada per raggiungere il nostro obiettivo del 2%”.

La rappresentante della Fed ha poi difeso l’operato della banca centrale, giudicando “appropriato” l’approccio preventivo usato di fronte all’accelerazione dell’inflazione, pur riconoscendo che gli interventi restrittivi possono avere conseguenze: “Il mancato ripristino della stabilità dei prezzi renderebbe più difficile e più doloroso ripristinarla in futuro” ha concluso.

Dichiarazioni che sono in linea con altri membri della Fed. La colomba Kashkari ha avvertito che l’asticella per effettuare un’inversione nella politica monetaria è collocata piuttosto in alto e siamo ancora lontani dal momento di pausa. Evans ha poi aggiunto di aspettarsi tassi sui fed fund al 4,5- 4,75% nella prima parte del 2023 ed altri membri (Mester, Cook, Waller) hanno fornito indicazioni simili rafforzando il messaggio. Sembra pertanto evidente che la Fed non cambierà atteggiamento fino a quando non si manifesteranno evidenze di deciso rallentamento dell’inflazione (soprattutto quella core).