Società

Il mattone BRIC si sta spezzando e la vera bolla non e’ in Cina

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Se c’e’ un paese dei BRIC che rischia il collasso, questo non e’ la Cina, bensi’ il Brasile. Del paese sudamericano si sentira’ sempre piu’ parlare, almeno secondo l'”orso” esperto di economia Martin Hutchinson di PrudentBear.com. Tra elezioni e vendita del colosso energetico Petrobras, il cui ricavato e’ stato utilizzato dal governo per raggiungere gli obiettivi di bilancio prefissati, si mette male.

Con le elezioni in Brasile che dovrebbero essere vinte da Dilma Rousseff, candidata delfino del leader uscrente Lula, la Russia che deve vedersela con un’incertezza economica e politica crescente e l’India alle prese con una spirale inflativa, forse l’economia di Pechino e’ quella messa meglio del blocco, anche se non ci si deve attendere la crescita a doppia cifra vista negli ultimi anni. E’ giunto il momento di chiedersi: il mattone dei BRIC sta per spezzarsi?

Il Brasile e’ il caso piu’ lampante della crisi che stanno attraversando i quattro paesi (un tempo in rapida) via di sviluppo. Il fatto che il ministro delle Finanze Mantega abbia dichiarato una “guerra valutaria” – sostiene Hutchinson – e’ una scusa per protestare contro il rincaro del real oltre il rapporto di 1.70 a $1 e distogliere cosi’ l’attenzione dell’elettorato dal voto di domenica.

Il motivo di tale apprezzamento e’ da ricercare nella massa monetaria che sta affluendo in Brasile, magneticamente attratta dalla sua apparente forte crescita e benessere delle materie prime.

In una economia ben gestita come quella del Cile, secondo Hutchinson, gli effetti pericolosi dei flussi valutari di questo tipo sono sterilizzati dal governo, che crea un fondo da utilizzare non appena le materie prime perdono valore. Tuttavia per fare cio’ serve che il governo tenga sotto controllo le spese pubbliche. Discorso che non vale fino in fondo per il Brasile.

Se le spese pubbliche ufficiale sono state tenute a bada, i prestiti concessi dalla banca statale BNDES e gli investimenti fatti dalle societa’ del settore pubblico, finanziate dal ricavato ottenuto dai prestiti, sono stati concessi con manica larga e sono addirittura esplosi in vista delle elezioni presidenziali di domenica (sono in rialzo del 30-40% rispetto all’anno prossimo).

La donna che dovrebbe succedere al capo del governo Lula, ovvero Dilma Rousseff, e’ ritenuta essere una amante del marxismo e fautrice della rapida espansione del controllo statale. Lo si puo’ notare gia’ nella vendita della quota di Petrobras, il colosso energetico. Con Roussef al timone, anzi che diventare una superpotenza come molti sono pronti a scommettere, Brasilia ripiombera’ nel “solito caos da terzo mondo”, sentenzia Hutchinson. Il rispettato governatore della banca centrale Henrique Meirelles, la cui politica monetaria di tassi di interesse a doppia cifra ha mantenuto la stabilita’ del paese durante il regno di Lula, difficilmente durera’ a lungo. Una volta che la politica sopra citata verra’ a mancare le pressioni inflative diventeranno ingestibili.

A causa della sua immensa popolazione l’economia braasiliana non e’ dominata dalle risorse naturali come Venezuela o altri paesi sudamericani ricchi di materiali di base. La discesa negli inferi del caos e’ probabile che si materializzera’ presto. Per quanto riguarda il destino del paese per quanto riguarda i tempi dello scoppio della bolla delle sue risorse, non vale la pena nemmeno perdere del tempo a pensarci.