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IL GUFO: «LA CRISI COSTERA’ IL 6% DEL PIL USA»

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(WSI) – «Nessuno può dire con certezza quanto questa crisi durerà. Noi pensiamo che potrebbe ragionevolmente terminare nella prima o tutt’al più nella seconda metà del 2009. Ma una cosa invece è certa: si tratta della più grave crisi finanziaria del dopoguerra e adesso siamo a circa metà del guado». Stefano Visalli, direttore McKinsey responsabile strategia banche a livello europeo, è anche in grado di indicare l’impatto stimato sul Pil Usa di questa tempesta: «Le perdite di attività reali saranno pari ad almeno il 6 per cento del pil americano».

Si tratta di un dato inedito nella storia dell’economia occidentale degli ultimi 60 anni: «Per avere un termine di paragone, l’impatto della crisi delle casse di risparmio americane negli anni Ottanta fu circa la metà, ovvero il 3 per cento del pil Usa. Ed è quasi simile all’impatto della crisi giapponese di cui quel paese porta ancora oggi i segni».

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Dovremmo essere a metà di questa crisi, scoppiata con i subprime ma poi allargatasi a tutto il sistema finanziario: «Ma non possiamo esserne sicuri perché ci sono ancora due incertezze: da una parte, non siamo ancora in grado di stimare la profondità della crisi economica che sta arrivando; dall’altra non è ancora chiaro quanto e quanto rapidamente i regolatori alzeranno i requisiti di capitale, creando ulteriori difficoltà alle banche già sottocapitalizzate». Sebbene l’impatto delle perdite sui crediti sia più forte in America, la crisi non rimarrà confinata oltreoceano: «Se c’è una recessione negli Usa, è inevitabile una ricaduta in Europa. I segnali ci sono già: in Gb la richiesta di mutui si è ridotta del 50%, in Danimarca del 35. La crisi è già diffusa».

Per le banche la tempesta potrà avere effetti significativi. «Si ridurrà la leva, ovvero il rapporto fra attivi e capitale, che negli ultimi 78 anni era aumentato del 2030%. Di conseguenza, la redditività scenderà portando a processi di consolidamento già nella prima o nella seconda metà del 2009, quando si comincerà a vedere la fine della crisi».
In questa situazione gli istituti di credito avvantaggiati per le future fusioni saranno quelli «molto retail e che sono già presenti in aree ad alta crescita come l’Europa dell’Est». In questo identikit possono riconoscersi alcune grandi banche italiane, «ma ci sono anche gli istituti spagnoli e alcuni francesi. Più penalizzate invece le banche anglosassoni e alcune tedesche». (a.bon.)

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