Una cifra compresa fra i quattro e i cinque miliardi di euro si allontana nuovamente dalle casse dell’Erario: sono quanto la Chiesa non avrebbe pagato di Ici sui propri immobili commerciali, secondo le stime dell’Anci. Una sentenza del Tribunale Ue “non è giunto a dimostrare” le pratiche distorsive in grado di configurare “l’aiuto di stato” a favore delle istituzioni ecclesiastiche fra il 2008 e il 2012. Eppure, la Commissione europea allora presieduta da José Manuel Barroso aveva riconosciuto nel 2012 (dopo due pareri di segno opposto nel 2006 e 2008), una violazione tale da giustificare un recupero del denaro non versato da parte della Chiesa; recupero che, di fatto, non è mai avvenuto. E per una ragione molto semplice,
La riscossione del denaro non versato dalla Chiesa presentava (e presenta) problemi anche di natura tecnica: nel 2012 la Commissione ravvisava, infatti, che “i beneficiari dell’aiuto in questione non possono essere identificati e che l’aiuto non può essere oggettivamente calcolato a causa della mancanza di dati disponibili”; i dati a disposizione “non consentono di individuare gli immobili appartenenti ad enti non commerciali, che sono stati destinati ad attività non esclusivamente commerciali del tipo indicato nelle disposizioni sull’esenzione dall’Ici”. Per questa ragione, scriveva la Commissione, “l’Italia ha illegittimamente attuato l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, ma alla luce delle circostanze eccezionali invocate dall’Italia, non deve essere disposto il recupero dell’aiuto, avendo l’Italia dimostrato l’impossibilità assoluta di darvi esecuzione”.
Con l’ultima decisione del Tribunale Ue, oltre a “non poter dare esecuzione” al recupero del denaro non versato, ora non viene riconosciuta nemmeno la violazione in base alla quale tale riscossione dovrebbe avere luogo. Resta da attendere, dunque, l’ultimo grado di giudizio europeo per capire come andrà a finire.