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Ice: il cambio euro/dollaro dovrebbe essere a 1,20

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NEW YORK (WSI) – Uno dei punti di forza dell’economia italiana e’ l’export, al punto che il surplus della bilancia commerciale dell’Italia nel 2013, secondo le ultime previsioni, dovrebbe superare i 100 miliardi di euro, al netto della bolletta energetica. Lo ha detto a New York il presidente dell’agenzia Istituto Commercio Estero, Riccardo Monti. “Malgrado la crisi economica, la disoccupazione e l’enorme difficolta’ delle aziende italiane nell’ottenere credito, la parte di imprese che esportano il ‘made in Italy’ resta in assoluto la piu’ dinamica del paese”, ha detto Monti.

Il nuovo presidente dell’Ice, 45 anni, ha il piglio e la preparazione di chi vuole svecchiare un istituto molto spesso accusato di burocrazia. L’assistenza alle aziende esportatrici, comprese le start up, prevede adesso piu’ dinamismo e creativita’, dopo il taglio feroce di budget e personale dovuto alla ristrutturazione dell’agenzia, rispetto all’abbondanza di fondi degli anni Novanta. Un processo che passa anche per la valorizzazione di hub, per i singoli paesi dove la presenza di aziende italiane e’ piu’ forte. Per esempio Miami per gli Stati Uniti, il cui ufficio e’ stato appena aperto e che raccoglie flussi commerciali e ricchezze dall’America Latina; oppure in Europa, Londra.

La crescita delle esportazioni italiane avviene nonostante un cambio “non troppo favorevole”, secondo il presidente dell’Ice, agenzia che ora fa parte del budget di Palazzo Chigi. “Il cambio ‘naturale’ del cross euro/dollaro – le moneta su cui avviene la maggior parte dell’interscambio commerciale – dovrebbe essere a 1.20; quando vediamo che supera 1.30, per noi e’ allarme rosso”, spiega Monti.

In questo quadro, gli Stati Uniti sono uno dei punti di forza dell’Ice; il surplus tra Roma e Washington dovrebbe aggirarsi nel 2013 sui 14 miliardi e sfiorare i 15 nel 2014, nonostante, appunto, il cambio non favorevole per le aziende italiane soprattutto di meccanica, moda e food (un accenno alla Bce e alla rigida Bundesbank che impedisce a Mario Draghi di abbassare i tassi, e’ d’obbligo, ma con rassegnazione).

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Nel primo semestre del 2013, gli Stati Uniti hanno importato dall’Italia merci per un valore di 18,6 miliardi di dollari registrando un aumento del 2,95% sullo stesso periodo del 2012, dato importante se paragonato al perdurante calo di importazioni dal mondo (-2,11%) e dall’UE (1,03%).

La quota di mercato dell’Italia sale dunque all’1,68% rispetto all’1,59% registrato nello stesso periodo del 2012, raggiungendo un saldo commerciale bilaterale di $10,2 miliardi (+$859 milioni rispetto al primo semestre 2012).
L’Italia si posiziona in ambito UE, quarto Paese fornitore, dopo Germania, Regno Unito e Francia, mentre a livello mondiale si colloca al dodicesimo posto.

Tra gli 11 Paesi fornitori che ci precedono, soltanto India, Corea del Sud, e Germania hanno registrato una crescita più alta, mentre Messico, Giappone, Regno Unito, Taiwan e Arabia Saudita riportano valori negativi.

L’analisi per macrosettori evidenzia la meccanica quale primo comparto (20,5%), seguito da moda (15,6%), agroalimentari e vini (10,0%), chimica e derivati del petrolio (6,3%), farmaceutica (6,3%), veicoli terrestri (6,3%), arredamento (4,8%) e macchine elettriche (4,5%). Tra i settori in calo: chimica e derivati del petrolio (-22,3%) e macchine elettriche (-6,8%).

Le importazioni dall’Italia di prodotti a tecnologia avanzata (ATP) hanno registrato un valore di $2,2 miliardi, con un incremento del 12,9% rispetto al primo semestre 2012 raggiungendo una quota dell’11,6% sul totale delle importazioni italiane in USA.

Tra i settori di maggiore peso: aerospazio $788,78 milioni (36,5% sul totale ATP), biotecnologie $471,63 milioni (21,8%) e life science $350,54 milioni (16,2%). Secondo il responsabile dell’Ice per gli Stati Uniti, Pier Paolo Celeste, i segnali sono incoraggianti e consentono di confidare in una buona performance dell’export italiano in USA anche per la seconda metà del 2013. “Per quest’anno la quota di export italiano verso gli Usa – spiega Celeste – e’ cosi’ divisa, per settori: 1 euro su 5 alla meccanica; 1 euro su 6 alla moda; e 1 euro su 10 al food”.

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Prendendo in esame il totale degli investimenti italiani all’estero, che stando alle cifre UNCTAD ammontavano a $565 miliardi a fine 2012, si constata che le consistenze italiane in USA ne rappresentavano circa il 4%.

A inizio 2012 le imprese americane partecipate da società italiane erano erano 2,408. Tali aziende occupano negli Stati Uniti oltre 158,000 dipendenti e hanno un fatturato di 44 miliardi di euro. Gli Stati Uniti sono, dunque, il secondo Paese verso il quale maggiormente si dirigono i nostri investitori, dopo la Francia, che vantava 2.562 imprese a partecipazione italiana a inizio 2012 sul proprio territorio.

Andando ad analizzare i progetti di investimento greenfield, si rileva come la presenza italiana in USA sia di un certo rilievo (nota: impianti di un nuovo stabilimento in un paese straniero si definiscono greenfield se in un’area non precedentemente utilizzata, brownfield se frutto di riconversione). Dal 2003 e fino a tutto il 2012, l’Italia ha realizzato 380 progetti di investimento negli Stati Uniti, che risultano essere al secondo posto come Paese di destinazione degli investimenti italiani all’estero dopo la Cina.

I settori in cui si sono maggiormente concentrati gli investimenti italiani di tipo greenfield in USA nel periodo considerato (2003-2012) sono stati il settore del tessile abbigliamento, con il 30% del totale e hanno riguardato prevalentemente l’attività retail. A seguire il settore della meccanica strumentale (Industrial Machinery) con il 12% del totale e con progetti realizzati da Fiat, Brevini, Valvitalia, Finmeccanica, Leitner e altri. Da rilevare, infine, come i posti di lavoro creati negli Stati Uniti da aziende italiane che hanno investito in progetti greenfield, dal 2003 al 2012, sono circa 50.000, per un valore stimato di quasi $9,2 miliardi. Gli Stati Usa dove si sono concentrati principalmente i progetti greenfield italiani sono lo Stato di New York (66 progetti), la California (34 progetti) e la Florida (32 progetti).

I principali investitori italiani in USA per numero di progetti realizzati sono Fiat, Finmeccanica, ENI, Pirelli, Ermenegildo Zegna, Diesel, Prada, Bulgari, Brunello Cucinelli e Roberto Cavalli.

Tra i più importanti investimenti italiani realizzati negli USA nel 2012 si segnalano nuovi impianti produttivi del Gruppo del Conca, Gruppo Rana e Magneti Marelli, il nuovo Advanced Design Center della Piaggio, e l’acquisizione da parte della SOFIDEL della Cellyne Paper Manufacturing. Nel prima metà del 2013, si segnalano i nuovi stabilimenti produttivi Gruppo SO.F.TER, della Alupress e della Chrysler.