Economia

I guru italiani ‘no Euro’: chi sono i crociati della vecchia lira

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ROMA (WSI) – Banchieri, burocrati e accademici. E un esercito di politici al loro servizio. Eccolo il nemico. Sono loro i burattinai della moneta unica. Niente paura. Per combatterli è scesa in campo una variegata compagnia di giro. Sempre più spesso li vedete in tv, perché i talk show, dopo averli a lungo snobbati, ora se li contendono. Fanno audience, i crociati No euro.

Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Francesca Donato, Antonio Maria Rinaldi e altri ancora. Un pugno di militanti quanto mai eterogenei per formazione, cultura, esperienze. Tutti, però, condividono il medesimo obiettivo: abbattere il totem dell’euro.

Fino a pochi mesi fa i loro nomi erano sconosciuti al grande pubblico. Adesso invece Bagnai e gli altri fanno comizi in piazza, organizzano seminari di studio tra folle di cittadini plaudenti, imperversano sui social network. E mentre si avvicina la scadenza elettorale, i predicatori No euro moltiplicano le comparsate e le interviste. Diffondono il vangelo del ritorno alla lira.

Pretendono che l’Italia si riprenda la sovranità monetaria svenduta alla Bce dai politici collusi con la grande finanza. E chi se ne importa se la stragrande maggioranza degli economisti li liquida come studentelli arroganti. Tornare indietro, tornare alla lira porterebbe sventure a raffica: iperinflazione, tassi d’interesse alle stelle, debito pubblico fuori controllo. Questo dicono gli accademici, i professori (quasi tutti) delle grandi università.

«Non è vero», va predicando da mesi Bagnai, che dell’eterogenea compagnia dei noeuro è forse quello con il curriculum scientifico più articolato. È lui l’autore del libro che viene considerato una sorta di testo sacro della crociata contro la moneta unica. Il titolo è già un programma politico: “Il tramonto dell’euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa“.

Professore di Politica economica all’università di Pescara, 51 anni, Bagnai ormai gira come una trottola. Colleziona interviste. Ha un blog sul “Fatto Quotidiano”. Infaticabile su twitter, organizza convegni con il suo centro studi A/simmetrie. L’ultimo, “Un’Europa senza euro”, si è svolto il 12 aprile scorso a Roma con interventi, tra gli altri, di Paolo Savona, Giorgio La Malfa, e l’ex commissario Ue, l’olandese Frits Bolkenstein.

Tutti politici e studiosi non proprio assimilabili ai crociati No euro, ma comunque critici su come è stata costruita la moneta unica e sul suo funzionamento. «Stiamo assistendo al suicido economico di un continente», va predicando Bagnai, che descrive l’euro come un progetto studiato dalle élite per favorire se stesse. Parlantina sciolta, oratore infaticabile, il professore di origini toscane combatte la sua battaglia a suon di grafici, tabelle e citazioni, molto spesso di se stesso. Qualche commentatore, già l’anno scorso, ha piazzato l’autore de “Il tramonto dell’euro” nella marea montante del grillismo, ma il diretto interessato ha smentito ogni legame con i Cinque Stelle. «Il referendum e la democrazia diretta sono delle stupidaggini», ha tagliato corto.

Bagnai contende il record delle comparsate televisive a Francesca Donato. Molti la ricorderanno: è la signora bionda che in tailleur d’ordinanza ha più volte patrocinato la causa No euro dal salotto di “Ballarò”. Donato, veneta di nascita, siciliana d’adozione (ha sposato l’erede di una famiglia di costruttori dell’isola), non è un’economista ma un’avvocatessa. Sul Web, nel suo sito personale, sostiene di aver maturato il suo impegno no euro dopo «un lungo periodo di studio di testi divulgativi in materia economica e di confronto fra le opinioni più autorevoli».

Quanto basta per lanciare un’associazione col marchio “Eurexit” e per convincere Matteo Salvini a inserirla al numero due nella lista della Lega Nord alle prossime elezioni europee per la circoscrizione insulare (Sicilia e Sardegna). E poco importa se nei mesi scorsi la futura candidata leghista si definiva «borghese» e «di sinistra», partecipando tra l’altro a un convegno organizzato dai marxisti del Movimento popolare di liberazione. In quell’occasione Francesca Donato spiegava che «perfino nella Lega ci può essere qualcuno di sinistra». Già, perfino.

Anche Claudio Borghi, altro sedicente economista in prima linea nella battaglia No euro, ha indossato elmo e armatura lumbard per approdare al partito di Salvini. Da mesi l’ex manager milanese è impegnato nel “Basta euro tour» al fianco del segretario della Lega Nord. L’erede di Umberto Bossi, alla disperata ricerca di visibilità politica, ha fatto della battaglia contro la moneta unica il tema principale, praticamente l’unico, della sua campagna elettorale. La leggenda dell’euro studiato a tavolino da politici e banchieri tedeschi per opprimere le operose genti della Padania fa breccia facilmente tra artigiani e piccoli imprenditori.

E Borghi, autore del manuale “Basta euro. Uscire dall’incubo è possibile“, si è prestato con entusiasmo a fare da spalla al capopopolo Salvini. Storia singolare, quella del nuovo crociato lumbard. Fino a qualche anno fa Borghi lavorava per la Deutsche Bank. Sì, proprio quella, proprio il bastione della finanza teutonica, bersaglio della propaganda leghista. Il manager milanese, classe 1970, era un “sales”, come si dice in gergo, cioè vendeva prodotti finanziari agli investitori istituzionali.

Tra il 2008 e il 2010 Deutsche Bank ristruttura le sue attività italiane e Borghi cambia mestiere, ma resta nell’ambiente. Nel 2011, per dire, lo troviamo nel consiglio di amministrazione della Banca Arner, sede in Svizzera, filiale a Milano. Arner è un nome noto alle cronache per almeno due motivi: gli stretti rapporti con Silvio Berlusconi e un’indagine della procura di Milano per gravi irregolarità di gestione. Il futuro candidato leghista (Circoscrizioni Nordovest e Centro alle prossime Europee) era approdato alla filiale italiana della banca di Lugano subito dopo il commissariamento disposto dalla Banca d’Italia, che impose il repulisti tra manager e amministratori. I soci di maggioranza, però, non sono mai cambiati: un gruppo di finanzieri legati a Berlusconi da almeno un ventennio. Capitolo chiuso anche quello, ormai. Da circa un anno Borghi ha abbandonato il board della Banca Arner, ma nel frattempo è riuscito a costruirsi la fama dello studioso di economia.

Il suo curriculum accademico, in verità, è piuttosto scarno. Laureato nel 2000, a 30 anni, con una tesi sul trading di Borsa, il crociato lumbard insegna all’Università Cattolica di Milano grazie a un contratto temporaneo di docenza. Le sue materie sono “Economia degli intermediari finanziari” ed “Economia dell’arte”. E l’euro che c’entra? Niente. In compenso l’arte è una delle grandi passioni di Borghi che si definisce «collezionista di opere non figurative del dopoguerra». Anche la moglie, Giorgia Fantin condivide lo stesso interesse. I due coniugi fanno coppia fissa anche negli affari. Insieme controllano una società che organizza eventi e conferenze. La signora è ben conosciuta nei salotti milanesi come professionista del “wedding planner”, cioè pianifica e organizza cerimonie nuziali.

Il suo sito ci spiega che Giorgia Fantin è una “bon ton specialist”, richiestissima in tv e sui giornali come gran maestra di galateo. Borghi, però, di questi tempi fa volentieri a meno dei consigli della consorte. Nei comizi elettorali è ruvido e diretto come si conviene a un lumbard in campagna elettorale. Mario Monti? «È un essere schifoso, pagato per rubare i nostri soldi». Mario Draghi invece si comporta da «collaborazionista» dei tedeschi. Parola dell’ex manager di Deutsche Bank.

A ben guardare, le invettive che infiammano le piazze leghiste non sono poi così diverse da quelle che Antonio Maria Rinaldi riserva all’elettorato di Fratelli d’Italia, tradizionalmente più forte al sud. Un paio di mesi fa, a Fiuggi, al congresso dei transfughi di Alleanza Nazionale, c’era anche lui, Rinaldi che ha tenuto un applaudito discorso contro la moneta unica. Il partito di Giorgia Meloni è l’unico, insieme alla Lega Nord, ad aver sposato in pieno le idee No euro.

Porte aperte, allora, a chi fornisce contributi intellettuali utili alla causa. Il romano Rinaldi, al pari del milanese Borghi, non è un accademico in senso stretto, visto che non fa parte dei ruoli del ministero dell’Istruzione. Può vantare, però, due incarichi di docenza: uno nella capitale, alla Link University l’altro a Pescara, nella stessa università di Bagnai. Quanto basta, insomma, per essere definito professore ed economista, anche se nel suo curriculum non ci sono pubblicazioni scientifiche.

Di certo però Rinaldi ha avuto la possibilità di conoscere la finanza molto da vicino. Ha lavorato all’Eni, alla Consob e suo padre Rodolfo era un banchiere potente, prima al Santo Spirito e poi alla Bnl, come vicepresidente, negli Ottanta e Novanta del secolo scorso. Tra i militanti a tempo pieno della causa no euro c’è anche un altro figlio d’arte. Si chiama Nino Galloni, 60 anni, erede del più volte ministro democristiano Giovanni. Galloni junior, che vanta alcune docenze universitarie, ha lavorato una vita tra enti pubblici (anche l’Inps) e ministeri, compreso il Bilancio ai tempi della prima Repubblica. Il suo impegno contro la moneta unica data addirittura dal 2005, quando scrisse un primo pamphlet contro i misfatti della finanza. Da allora è stato un crescendo di pubblicazioni e interventi. Anche Rinaldi si è mosso per tempo. Nel 2011, in piena crisi del debito pubblico, lo studioso della Link University dava alle stampe il pamphlet “Il fallimento dell’euro” e argomentava la necessità di un ritorno alla lira accompagnato da una svalutazione del 25-30 per cento per ridare fiato alle esportazioni.

È un chiodo fisso quello della svalutazione. Bagnai, Borghi e gli altri sostengono che i vantaggi garantiti dalla nostra vecchia valuta nazionale sarebbero ben superiori ai rischi di importare inflazione. E anche le tensioni sui tassi sarebbero facilmente controllabili. Esattamente il contrario di quanto prevede la grande maggioranza degli economisti. «Ma questa è tutta propaganda del Pude», attaccano i no euro. Il Pude? Sì, il Partito unico dell’euro, la piovra che tutto controlla. E allora per fortuna che a difenderci ci sono loro, i crociati della lira.

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