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GURU & GUFI:
LA RESA DEI CONTI

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(WSI) –
Sfidando ancora una volta la legge di gravità, il mercato azionario di New York e, di conseguenza, tutti gli altri mercati occidentali e orientali si sono ripresi dal crollo avvenuto negli ultimi giorni di febbraio e nelle prime settimane di marzo 2007. È la quarta volta che il movimento al rialzo iniziatosi il 10 ottobre 2002, dopo la grande caduta marzo 2000/ottobre 2002, sembrava terminato ed invece continua. Era già avvenuto nel febbraio 2004, nel marzo 2005, nel maggio 2006. Erano date importanti e da me previste poiché legavano temporalmente il precedente movimento al ribasso con quello al rialzo, in base a rapporti matematici molto tipici.

In realtà in tutte e tre le circostanze è avvenuta la stessa cosa: si è toccato un massimo (ma non il massimo) poi vi è stata una correzione di circa 100 punti dell’indice Standard and Poor’s e di circa 1000 punti del Dow Jones e poi, di nuovo, una potente ripresa con il raggiungimento di valori ancora più alti.
È successo anche questa quarta volta nonostante i parametri interni del mercato, nel febbraio/marzo 2007 come il rapporto fra tutti i titoli e i volumi al ribasso rispetto a quelli al rialzo fossero estremamente negativi e ancora più negativi che nel 1929, 1940 e 1987.

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Gli economisti tradizionali possono trarre da tutto ciò la conferma che quello che conta anche in borsa sono i fondamentali: un’economia con uno sviluppo equilibrato, un tasso di inflazione moderato, tassi di interesse in termini reali bassi e stabili, profitti aziendali forse non così in crescita come nel 2003/2006, ma nel complesso buoni o almeno soddisfacenti, una politica monetaria accomodante e un’assenza di pericolo che le principali banche centrali intervengano per portar via la boccia del liquore quando il party si sta scaldando. Anzi, con lo strumento del carry trade il bar viene continuamente rifornito di nuove bottiglie di liquidità. Ormai è invalso l’uso di parlare di Goldilocks economy, cioè di economia dai boccoli d’oro.

Solo una minoranza di economisti fuori dal coro sottolinea alcuni aspetti negativi dell’attuale situazione, come l’uso smodato del credito, con conseguente cattiva allocazione del medesimo. In uno scenario di intense pressioni concorrenziali vi sono segnali di allentamento degli standard di credito alle famiglie, alle imprese e soprattutto al settore degli hedge funds.

Questi ultimi, a fronte di alti livelli di indebitamento ottenuti attraverso il ricorso ai derivati e mediante l’ampio indebitamento presso il sistema bancario, effettuano impieghi sempre più rischiosi (future, options, credit derivative, etc.) per assicurare alte commissioni ai manager dei fondi stessi ed elevate, ma volatili performance ai sottoscrittori. Il rapporto fra esposizione al mercato azionario e la raccolta di tali fondi è pari in media a tre volte e mezzo, ma vi sono molti fondi con rapporti di 10/15 volte. Ciò che è ancora più grave è che il danaro raccolto presso i sottoscrittori spesso è stato ottenuto dai medesimi a prestito, addirittura con carte di credito o ipotecando la casa. I mercati finanziari sono sostenuti da un leverage di circa 25 volte rispetto agli effettivi mezzi propri degli operatori. Gli acquisti fanno salire i prezzi e i più alti prezzi forniscono le garanzie collaterali per ottenere nuovi finanziamenti.

Preoccupa inoltre, da parte dei grandi operatori in occasione di colossali fusioni, acquisizioni e incorporazioni, la tendenza a levereggiare i bilanci aziendali al solo scopo di aumentare il Roe, così come preoccupa l’indebitamento delle famiglie e dei richiedenti credito più deboli che ha già generato una prima crisi del subprime. Dall’inizio del 2000 alla fine del 2006 la consistenza dei debiti sul mercato finanziario degli Stati Uniti è cresciuta di 18.200 miliardi di dollari, mentre il Pil passava da 9.000 miliardi agli attuali 12.800 (+ 3.800 miliardi di dollari). Vi è cioè in America, non tanto un’inflazione monetaria (quella che si misura con l’aumento dei prezzi al consumo), ma un’inflazione creditizia tale che per far crescere il Pil di una unità, occorrono quasi 5 unità di debito.

Per gli economisti pochi, fra cui l’autore di questo articolo che appartengono a questa corrente di pensiero, non è importante il fatto che ancora per la quarta volta il mercato azionario si sia ripreso, dopo il piccolo terremoto di febbraio. Quello che conta è rilevare che siamo in presenza, e probabilmente nelle fasi finali, di una straordinaria inflazione creditizia e quest’ultima, per sua natura, è destinata a trasformarsi in deflazione creditizia con conseguente implosione, perché la situazione dei mutuatari diventa ogni giorno più squilibrata e i debiti non sono delle attività che possono essere date a garanzia per ottenere altri finanziamenti.

Fino a che il prezzo degli attivi finanziari sale (e il valore economico delle imprese rispetto all’Ebitda non è mai stato su livelli più elevati) famiglie e imprese possono dare garanzie supplementari a fronte di nuovi finanziamenti, ma quando il ciclo del credito s’inverte i creditori non concedono più nuovi finanziamenti, ma richiedono il rimborso di quelli ottenuti. A questo punto ci sono troppi debiti in giro e i debitori non riescono più a pagare capitale e interesse. Ecco la deflazione creditizia, l’implosione. Un evento finanziario certamente raro, ma devastante.

A mio avviso, il primo mercato che si renderà conto dell’approssimarsi di questa implosione del credito sarà il mercato con le antenne più sensibili, quello azionario di New York.
Ciò che è avvenuto a fine febbraio/inizio marzo è che alla borsa americana è sembrato di avvertire i primi segnali della tempesta. Solo così si spiega la menzionata negatività dei parametri borsistici. Poi il sole è tornato a splendere e il cielo si è rasserenato. I mercati finanziari, oggi come oggi, dopo questo brivido non segnalano ancora la fine dell’inflazione creditizia sicché l’uso smodato dei debiti per finanziare operazioni, anche le più strampalate e costose, è ripreso.

Ma l’appuntamento è stato rinviato solo di qualche settimana, o al massimo di qualche mese poiché, come insegna la storia economica, mentre l’inflazione monetaria teoricamente può durare indefinitamente, l’inflazione creditizia che attualmente ha raggiunto livelli parossistici si trasforma sempre, senza eccezioni, in deflazione creditizia.

Come si diceva, essa è un evento devastante che, essendo raro, non viene in genere riconosciuto dagli analisti, i quali, non riconoscendolo, perdono il senso dell’orientamento, rimangono confusi. Basandosi su categorie tradizionali non capiranno perché, ad esempio, scenderanno contemporaneamente i prezzi delle azioni, degli immobili e delle materie prime, come è successo nella crisi di febbraio/inizio marzo. Molti si sono rallegrati dello scampato pericolo e per ora hanno avuto ragione. Ma io ho interpretato questa piccola crisi come una prova generale, un test, un assaggio della rappresentazione vera e di quello che essa comporterà.

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