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GREENSPAN E LA BURRASCA DI WALL STREET

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Dopo la scoperta della ormai famigerata frode contabile le azioni di WorldCom (WCOME – Nasdaq) sono crollate quasi a zero. Il bilancio del 2001 di WorldCom dunque è in rosso, non in attivo come annunciato. E l’esposizione bancaria del grande gruppo telefonico americano, circa 30 miliardi di dollari, diventa critica. La situazione del 2002, poi, sarà ancora peggiore.

Le banche creditrici ora si domandano se debbono ritirare le linee di credito, costringendo a fallire la società, o se convenga cercare di evitare il crack, rischiando però maggiori perdite. Dalla Enron (ENRNQ – Nasdaq) alla Tyco (TYC – Nyse) alla WorldCom, le grandi crisi di società americane di questi mesi pongono sempre più problemi anche al sistema creditizio.

L’economia degli Stati Uniti è nel complesso robusta, la sua produttività in crescita. Ma la struttura finanziaria cresciuta negli anni dell’euforia di Borsa può esporre a rischi il sistema bancario. Le compagnie di settori di punta high-tech avevano bisogno di mostrare bilanci in continua crescita. In alcuni casi vi sono state solo esagerazioni nelle previsioni. In altri veri e propri imbrogli contabili per stare al gioco.

La Fed, comunque, sembra pronta a dare alle banche la liquidità necessaria per evitare che i guai finanziari si ripercuotano sul sistema economico. Alan Greenspan fa intendere che non sceglierà una linea di rigorismo. Appare pronto anche a un ulteriore ribasso del tasso di interesse, che è già all’1,75 per cento ossia meno del tasso di inflazione. Certo è una linea difficile da tenere con un dollaro sempre più debole e un tasso della Bce che è al 3,25 per cento.

Le insolvenze finanziarie da crisi di grandi gruppi si presentano anche in Europa e in Italia. Sono crisi comunque governabili ma le cui soluzioni determinano inevitabilmente improvvisi restringimenti delle risorse finanziarie particolarmente dannosi per tessuti produttivi come quello italiano ricco di piccole e medie imprese. La Bce dovrà prestare la massima attenzione a evitare crisi di liquidità per le imprese “minori”, considerate anche le condizioni non entusiasmanti della crescita economica europea. Per fortuna il rafforzamento dell’euro agevola una politica del credito più permissiva.

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