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Grecia, debito, default: a brigante, brigante e mezzo

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(WSI) – I mercanti di sventura hanno levato le tende dall’Europa già martedì mattina, quando è apparso chiaro che il parlamento greco avrebbe dato la fiducia a Papandreou, e si sono trasferiti in America, dove rimarranno fino ai primi di agosto per seguire la vicenda del surreale fallimento tecnico degli Stati Uniti.

Hanno lasciato in Grecia, davanti al parlamento, un banchetto con qualche Cds avanzato e sperano di riuscire a venderlo quando rimonterà la paura, nelle prossime ore, in vista del voto sul piano fiscale di medio termine. Il grosso della mercanzia verrà però esposto, nei prossimi giorni, davanti al Congresso a Washington. Saranno Cds che assicureranno contro un default degli Stati Uniti. Li hanno comprati in questi giorni e sperano di rivenderli nelle prossime settimane quando monterà la psicosi e qualcuno cascherà nella trappola di pensare che, dovesse fallire il più grande debitore del mondo, gli ambulanti dei banchetti tireranno fuori dalle valigette 14 trilioni e rifonderanno pienamente i creditori.

Il giro in Grecia appena concluso è stato fruttuoso, ma non come altre volte. Molti mercanti di sventura si erano riempiti di dollari, ma l’euro ha
resistito piuttosto bene e adesso, in vista del paventato default americano del 2 agosto, i dollari cominciano a scottare e bisognerà venderli prima che vadano a male.

Per fare salire il prezzo dei Cds sulla Grecia i mercanti hanno messo in giro l’idea che il parlamento avrebbe non solo fatto cadere il governo e respinto il programma di austerità, ma avrebbe addirittura ripudiato il debito e ripristinato la dracma. In pratica una replica della rappresentazione di Buenos Aires del 2001, quando con toni tenorili e ovazioni entusiaste il parlamento mandò al diavolo i creditori e spense la luce sull’Argentina.
L’idea messa in giro voleva essere cinica. Cosa credete, si diceva, la Grecia non solo non può ripagare il suo debito, ma non ha intenzione di tirare fuori nemmeno un euro per i creditori.

A brigante, dice il proverbio, brigante e mezzo. A cinico, cinico e mezzo. La Grecia, approvando il programma propostole dall’Europa, è già nella condizione di non pagare un euro ai creditori per almeno altri due anni, ma probabilmente molti di più. Il fabbisogno verrà finanziato dall’Europa e il rinnovo dei titoli sarà garantito dalle banche. Il prezzo per la Grecia è la firma di un pezzo di carta che la impegna a tagli che, volendo, potranno anche non essere effettuati. Insomma, davanti a creditori prontissimi a tirare fuori altri soldi, perché mai dichiarare default?

La realtà, naturalmente, è meno desolata. La Grecia ha una certa disponibilità a fare sacrifici ed è in buona fede fino a prova contraria. Ai creditori spetta di essere realisti e non pretendere l’impossibile. Le vicende storiche dei risarcimenti di guerra dimostrano del resto ampiamente che chiedere troppo crea risentimento ed è controproducente per il recupero dei crediti.

Quello che la vicenda greca di questi giorni ci consegnerà come lascito duraturo è, in ogni caso, la consapevolezza che errori di policy (in questo caso per impuntature tedesche o alzate di testa greche) possono, in questa fase storica più che in altre, avere enormi conseguenze. Sono cioè una prova in più che questo ciclo è diverso. Come conseguenza pratica, anche il ciclo azionario e quello degli asset di rischio in generale saranno diversi.

A grandi linee i cicli economici e borsistici precedenti, in particolare dopo il 1980, sono paragonabili ai percorsi di slalom gigante. Curve lunghe e ampie, che danno il tempo alle bolle di accumulare forza. Il mondo nuovo in cui ci troviamo assomiglia invece ogni giorno di più a un percorso di slalom speciale, con curve strette e frequenti in cui le bolle, se si formano, hanno molto meno tempo a disposizione.

Dominic Wilson di Goldman Sachs ha provato a fare alcune riflessioni (Are Cycles Getting Shorter?) su questo tema ed è arrivato alla conclusione che è effettivamente possibile che i cicli stiano diventando più brevi e irregolari, o che quanto meno vengano vissuti come tali. L’evidenza empirica al momento non è molta, ma conferma l’ipotesi di partenza.

Di solito i cicli sono ampi e lunghi perché nelle recessioni si accumula una domanda potenziale di case e di auto. Quando la recessione finisce e il credito diventa nuovamente disponibile, case e auto mettono in moto la ripresa (insieme alle scorte) e si trascinano dietro tutti gli altri settori. Questa volta, però, la domanda inevasa di case non esiste (c’è al contrario un’abbondante offerta) e quella di auto, per quanto in miglioramento, è frenata dalla difficoltà a trovare credito che la finanzi.

Il peso della ripresa ricade quindi essenzialmente sulle scorte, sempre più irregolari, sugli altri settori e sugli incentivi governativi alla domanda, che nei paesi sviluppati devono fare i conti con le casse vuote della finanza pubblica e non possono essere di lunga durata, ma solo a singhiozzo. Ad alimentare la domanda restano le esportazioni verso i paesi emergenti, che vivono però sempre sull’orlo del surriscaldamento e, altrettanto a singhiozzo, devono frenare.

L’insieme delle brevi accelerazioni nei paesi sviluppati e delle brevi frenate negli emergenti crea inevitabilmente, anche se c’è una certa coordinazione tra Cina e Stati Uniti, un ciclo irregolare. La politica monetaria, con i tassi a zero, deve ricorrere allo stop and go del quantitative easing. Come dice Olivier Blanchard, la ripresa dovrà fare i conti ancora per qualche anno con la duplice debolezza delle finanze pubbliche e delle banche.

E’ come con il computer. Se gli diamo da svolgere solo un’attività, in questo caso Ripresa, concentra tutte le sue risorse e va al massimo. Se però, accanto a Ripresa, gli diamo da svolgere Risanamento delle Finanze Pubbliche e, in più, Irrobustimento delle Banche, il sistema operativo deve dividere le risorse tra tre programmi, togliere di qua e mettere di là a seconda dei momenti e, a volte, delle lune più o meno storte dei mercati finanziari. Questo lo costringe a fare le capriole, che a loro volta si mangiano una parte delle risorse. Detto più formalmente, il tradeoff tra crescita e inflazione e quello tra crescita e consolidamento fiscale e finanziario diventano subottimali.

Non va poi trascurato l’effetto ottico. Nei cicli di una volta era assolutamente normale l’alternarsi di trimestri in cui si cresceva, poniamo, del 4 per cento, a trimestri in cui si cresceva del 2. Non ci si faceva quasi caso. Se però oggi dovessimo vedere un’alternanza tra un trimestre al 2 e uno a crescita zero ci faremmo caso e come. La crescita zero creerebbe ansie e previsioni diffuse di double dip.

Come consolazione, aggiungiamo noi, a riprese deboli dovrebbero corrispondere, quando arriveranno, recessioni superficiali. La ripresa, ad esempio, non farà in tempo a creare una saturazione del mercato delle case e delle auto tale da fare precipitare una caduta verticale. Le scorte, dal canto loro, difficilmente raggiungeranno livelli così elevati da richiedere correzioni drastiche. L’inflazione degli emergenti, d’altra parte, non costringerà a frenate disastrose.

Per i mercati finanziari quello che si profila è il paradiso (o, più probabilmente, il purgatorio) del trading. Il contrario, cioè, dell’ipotesi pur pregevole e suggestiva di Laszlo Birinyi, secondo il quale l’SP 500 raddoppierà nel giro di tre-quattro anni perché così è stato nei cicli precedenti.

Chi teme le bolle può quindi tranquillizzarsi. Certo, le politiche monetarie resteranno aggressivamente espansive, ma il loro effetto, per quanto utile, sarà modesto. Se le banche sono messe sotto pressione dai regolatori un giorno sì e l’altro anche affinché riducano la leva e se il petrolio a 115 dollari è già sufficiente a scoraggiare i consumi e se ne deve rapidamente ridiscendere
a 95 per cercare di rianimarli, è difficile pensare a eccessi di mercato che si prolunghino per più di sei mesi.

In questo quadro i bond possono ricavarsi uno spazio di sopravvivenza. Il bear market obbligazionario che solitamente accompagna i cicli di ripresa sarà anch’esso a singhiozzo. La sopravvivenza sarà però molto grama, perché i policy maker faranno sempre in modo che i rendimenti rimangano, su gran parte della curva, al di sotto dell’inflazione.

Il mondo che abbiamo descritto non è un mondo stagnante, attenzione. E’ un mondo in crescita frenata che, faticosamente, tenta quando e come può di risanare i conti pubblici e le banche. E’ un mondo che va, sia pure zoppicando, nella direzione giusta e in cui quindi l’azionario resta l’investimento d’elezione.

Un giorno, infatti, quando da tempo avremo smesso di sperarlo, il mondo si sveglierà con conti pubblici e banche meno malati e potrà smettere di correre con il freno a mano. Sarà allora, probabilmente, che Birinyi vedrà realizzata la sua profezia.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.