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Governo, state attenti che vi arriva una bella rivolta fiscale

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ROMA — Per gli evasori nessuna pietà. D’accordo. Ma il complicato meccanismo che permette allo Stato di riscuotere i propri crediti nei confronti dei contribuenti morosi rischia di andare in cortocircuito. Creando malcontento, provocando manifestazioni di protesta come quella recente di Cagliari, riaprendo i termini della rivolta fiscale dei primi Anni Novanta.

Stavolta non sono le aliquote in discussione, né la farraginosità degli adempimenti fiscali, né le clausole e le decine di pagine della dichiarazione dei redditi. Stavolta è lo Stato esattore pronto al pignoramento, al sequestro dell’automobile, alla linea dura sugli interessi in caso di mora. Non è solo un’impressione: nei cinque anni, tra il 2005 e il 2010, il gettito della riscossione coattiva, calcolato dalla Cgia di Mestre, è aumentato del 133,5 per cento.

A far saltare i nervi ai contribuenti – con l’aggravante della crisi economica – sono i sistemi che la legge ha messo in mano a Equitalia, l’agenzia statale nata dal 2006. La stessa nascita dell’agenzia ha provocato un cambiamento culturale: le banche, che in passato si occupavano della riscossione delle tasse, di fronte ad un cliente insolvente si preoccupavano prima dei propri crediti e poi di quelli dell’erario. Oggi Equitalia ha una sola missione: recuperare i crediti dello Stato. E lo fa con una certa aggressività.

L’automobile è una delle prede preferite degli esattori del fisco: le cosiddette ganasce fiscali, ovvero il fermo amministrativo di un veicolo, hanno fatto registrare un vero e proprio boom. Una modalità particolarmente irritante: Equitalia blocca la circolazione dell’auto e chi utilizza il mezzo rischia una multa di oltre 2.000 euro. Ma è soprattutto l’uso disinvolto delle ganasce sotto accusa: spesso scattano per cifre irrisorie lasciando il contribuente a piedi.

L’altro punto dolente è l’ipoteca che Equitalia fa scattare senza indugi sugli immobili dei contribuenti insolventi. Questa norma introdotta dal governo di centrodestra nel decretone del luglio del 2008 non risparmia nessuno: un incubo vedersi la casa ipotecata per un debito che supera gli 8.000 euro, trovarsi nell’elenco dei cattivi clienti delle banche e sentirsi telefonare dal direttore della filiale. Tanto più che queste misure, come quella del pignoramento dei conti correnti e del blocco dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, arrivano da un momento all’altro, senza nessun preavviso.

Certo si tratta di evasori o comunque di gente che non ha potuto pagare. Ma il disagio c’è. Tant’è che il Pd prepara emendamenti al decreto sviluppo a tutela delle piccole e medie aziende che rischiano la chiusura per i debiti con Equitalia: allungamento da 72 a 120 del numero delle rate, impignorabilità della prima casa e divieto del fermo amministrativo del veicolo con cui si va al lavoro. Chi entra nel tunnel di un debito con il fisco rischia grosso anche se è disposto a restituire il dovuto all’erario: fino al raddoppio della cifra iniziale.

Per aver omesso di pagare, dopo aver denunciato regolarmente i propri redditi nel modello Unico, scatta una cifra pari all’imposta, più le sanzioni del 30 per cento, oltre agli interessi legali e l’aggio di Equitalia (recentemente portato al 9 per cento). Si può saldare in comode rate mensili, ma attenzione, come ha denunciato lo stesso ministro Tremonti si cade sotto le forche caudine dell’anatocismo (fino ad oggi prerogativa delle banche), cioè si pagano gli interessi sugli interessi.

Da qualche tempo la visita della Finanza vuol dire automaticamente mettere mano al portafoglio. Con l’accertamento esecutivo, un provvedimento che risale al luglio dello scorso anno, chi è accertato fiscalmente deve pagare subito il 100 per cento, più imposte e sanzioni. Nulla conta che lo si ritenga ingiusto e che si ricorra al giudice tributario. Intanto paga, poi vediamo. Un profilo poco garantista che ha indotto lo stesso governo a correggere la rotta e a sospendere il pagamento in attesa della decisione del giudice per 120 giorni. Peccato che il pronunciamento non arrivi mai entro questi termini.

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Fisco mon amour – Come e perchè Tremonti annuncia una linea delle Finanze meno vessatoria

da Il Foglio

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Roma – Non è affatto popolare celebrare i dieci anni delle agenzie fiscali. Ancora meno se si è tra un turno e l’altro di amministrative in salita, e se da Milano alla Sardegna fino al confindustriale Sole 24 Ore, si susseguono segnali anche di critica e talvolta di ribellione contro i metodi della più famosa di queste agenzie, quella delle Entrate guidata da Attilio Befera e del suo braccio societario Equitalia.

Ieri il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha celebrato il decennale delle agenzie fiscali insieme con Vincenzo Visco, il suo predecessore temuto dagli stessi colleghi del centrosinistra, accettando una continuità almeno sulle politiche di contrasto all’evasione tributaria. Il titolare del Tesoro e delle Finanze, un po’ per marcare la differenza, un po’ per lanciare segnali antivessazione, un po’ per aderire alla richiesta di tagli fiscali che continua a provenire da Palazzo Chigi, ha però operato distinguo, dato annunci e anticipato qualcosa della sospirata riforma.

“Meno ganasce fiscali e meno interessi passivi addebitati”, ha detto Tremonti, spiegando i correttivi in Parlamento al decreto sviluppo che già contiene novità sul rapporto tra fisco e contribuenti, escludendo ad esempio controlli sovrapposti su una singola azienda. Inoltre lo spesometro, che servirà a mettere il relazione gli acquisti con i redditi dichiarati, non si applicherà alle operazioni con carte di credito e bancomat, in quanto già tracciate.

Lo stesso Befera, nominato da Visco e apprezzato da Tremonti, concorda con i nuovi indirizzi del ministro: gli accertamenti non dovranno riguardare più “le piccole infedeltà”, né mirare a risultati “di poche migliaia di euro”, ma invece concentrarsi sui recidivi, ha sottolineato il direttore delle Entrate. Vischianamente, Tremonti ha riconosciuto che mentre dieci anni fa votò contro l’introduzione delle agenzie, “oggi do atto che è stata una buona cosa, una felice intuizione che ha dato ottimi risultati”. Tanto che alle quattro esistenti (Entrate, Dogane, Territorio, Demanio) se ne aggiungerà una quinta, dei giochi.

Tremontianamente ha paragonato gli interessi passivi delle cartelle all’infernale meccanismo dell’anatocismo, “gli interessi sugli interessi”. E soprattutto, dando veste accademica alle promesse anche del Cav., ha parlato della sospirata riforma: “Va fatta perché il sistema economico è radicalmente cambiato, mentre quello fiscale si è terribilmente complicato, ha mezzo secolo, un mezzo secolo che non è stato banale: tutto è accelerato, è cambiata la struttura globale e il sistema industriale, questo sistema è stato pensato prima della diffusione delle partite Iva; è cambiata la struttura sociale del paese. Anche la struttura politica è cambiata da centrale a federale”.

Visco concorda che l’attuale organizzazione provinciale del fisco non è la più adeguata; ma ripete la dottrina democrat sulle tasse: “Dagli anni 80 c’è stato un sistematico aumento di circa 10 punti del prelievo alla fonte sui redditi di dipendenti e pensionati e una riduzione di quota per gli altri. Questa questione va risolta”. Befera nei giorni scorsi ha incrociato le lame con Nicola Rossi, economista liberista ex pd ora in area montezemoliana attraverso la fondazione ItaliaFutura, e neo presidente del liberista Istituto Bruno Leoni, che ha accusato il fisco di agire in un rapporto “suddito-sovrano, e il problema non è il bon ton”.

La diatriba rischia di farsi scivolosa, se è vero che lo stesso Luca Cordero di Montezemolo intende farne un cavallo di battaglia per la ipotetica, e sempre smentita, discesa in campo. Nel frattempo Befera, 64 anni, fumatore di sigaro come Visco ma oggi nell’entourage stretto di Tremonti (che gli chiede aggiornamenti settimanali sul gettito) ha ottenuto la conferma dal Consiglio dei ministri per altri tre anni. In un’intervista al Foglio aveva smentito che i 25,4 miliardi di recupero di evasione potessero servire per un tesoretto per politiche pro crescita. Secondo altre fonti governative, poiché la nuova governance europea esclude che queste voci possano essere iscritte in bilancio prima dell’effettivo incasso né reiterate di anno in anno, il tesoretto servirebbe piuttosto ad accumulare munizioni in vista del rientro dei conti pubblici: “Saranno necessarie manovre pesanti”, ha accennato ieri Visco, certo non osteggiando l’eventualità, anzi la certezza.

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