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Governo ritira legge “ad aziendam”

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Roma – La legge Salini va in mille pezzi. Ieri il governo ha ritirato l’emendamento destinato a cambiare le regole sulle azioni proprie. Un emendamento con efficacia transitoria, solo fino al 30 giugno, che avrebbe avuto come unico effetto pratico quello di consegnare il controllo della grande azienda di costruzioni romana a uno dei due rami della famiglia Salini da tempo in lite tra loro.

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini è quindi stato costretto a fare marcia indietro. Proprio lui, l’avvocato e docente universitario entrato al governo nella squadra dei professori di Mario Monti, aveva presentato la nuova norma solo giovedì scorso in commissione giustizia del Senato. E ieri, dopo che il Fatto Quotidiano ha svelato in un articolo i retroscena di quella che stava per diventare la “legge Salini”, l’emendamento si è arenato in commissione. Niente da fare, quindi.

Le regole sulle azioni proprie non cambiano. E del resto, a parte il caso Salini, gli esperti del settore stentavano a individuare quale fosse l’interesse generale di una norma della durata di soli cinque mesi che interveniva su un tema appena regolato (dicembre 2010) dal precedente esecutivo su delega del Parlamento. “Non è una ritirata del governo”, abbozza una replica del portavoce del ministero della Giustizia.

“Abbiamo preso atto del diverso orientamento dei senatori”, spiega. In effetti, ieri Zoppini si è trovato di fronte all’opposizione pressoché compatta di tutti i membri della commissione. E così, assieme alla norma sulle azioni proprie, sono stati ritirati anche altri emendamenti che non avevano niente a che fare con il decreto legge in discussione, che riguardava il “sovraindebitamento delle imprese e la giustizia civile”.

Alla Salini resta tutto com’è, con il capoazienda Pietro Salini, forte del 47 per cento del capitale, in lite con i figli di suo zio Franco, che hanno il 43 per cento, mentre il 10 per cento è bloccato sotto forma di azioni proprie, cioè di proprietà della stessa Salini spa. Zoppini invece è costretto a incassare una sconfitta bruciante.

Il primo scivolone di una carriera fin qui rapidissima, tra mille incarichi privati e pubblici e ottimi agganci su entrambi gli schieramenti politici. Sono noti i suoi rapporti di amicizia con Enrico Letta, di cui fu collaboratore ai tempi dell’ultimo governo Prodi. Nel 2007 il futuro sottosegretario alla Giustizia studiò un riassetto delle authority (Antitrust, Consob, Energia, Telecomunicazioni) che il centrosinistra provò (senza grande convinzione e senza successo) a trasformare in legge.

Le autorità indipendenti sono uno dei cavalli di battaglia di Zoppini che ha pubblicato un volume sul tema. A firmarlo con lui il suo amico e collega Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica. Caduto Prodi, il rampante professore (insegna all’università Roma Tre) è rimasto ben saldo in sella anche con Silvio Berlusconi.

Giusto l’anno scorso la Presidenza del Consiglio ha affidato una consulenza a Zoppini. L’incarico porta la firma di Gianni Letta. Il compenso è di 20 mila euro. Poca cosa, tutto sommato, in rapporto al giro d’affari dell’avvocato. Che due mesi fa è finalmente approdato al governo con la divisa del tecnico. Inciampato sulle azioni proprie.

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