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Coronavirus, intervista a Giuliano Noci: “Sui consumi le ripercussioni potrebbero durare mesi”

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L’impatto del coronavirus, nonostante i crescenti contagi, sarà soprattutto di tipo economico. E colpirà non solo i consumi cinesi, ma di riflesso anche le attività estere che fanno riferimento alla domanda proveniente dal Dragone. Sono questi alcuni dei punti-chiave sui quali Giuliano Noci, Prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, ha cercato di concentrare l’attenzione nel corso di un’intervista rilasciata a questo giornale.

Dottor Noci, il rischio di una crescente diffusione del coronavirus ha avuto forti ripercussioni sulle borse lunedì 27 gennaio. Data la sua profonda conoscenza della Cina, le vorremmo chiedere se la reazione dei mercati le sembra giustificata a fronte dei rischi finora emersi.

C’è ancora una forte incertezza. Questo coronavirus, stando a quanto dicono i virologi è un fenomeno gestibile, ma rischia di avere ripercussioni economiche importanti. Dal mio punto di vista il vero impatto di questa pandemia sarà di tipo economico. I mercati lo hanno immediatamente compreso, in quanto regna l’incertezza ed è tutto bloccato.

Immagino si riferisca, innanzitutto, alle misure che sono state adottate per contenere il contagio e alle ripercussioni che esse avranno nell’andamento dei consumi.

Gli elementi sono molteplici, provo a elencarglieli. In primo luogo l’impatto sui consumi interni. Per quanto riguarda la Cina, questo non è un momento come gli altri: è il periodo di massima spesa in termini di consumi interni, in concomitanza con il festival di Primavera – il corrispondente del nostro Natale. E’ un periodo di venti giorni durante il quale si muovono 400-500 milioni di persone solo in Cina, si osserva la massima propensione alla spesa.
L’economia cinese, a differenza quella che è stata colpita dalla Sars [nel 2002-2003] si regge al 50% sui consumi interni. Già solo questo è un impatto molto rilevante. Si consideri, poi, che il clima di incertezza che respirano i consumatori cinesi continuerà a farsi sentire sulla loro propensione alla spesa indipendentemente da quella che sarà l’evoluzione dell’epidemia. Mi aspetto che questa fase possa durare mesi.
Dai diversi contatti che ho dalla Cina mi riferiscono che le città al momento sono spettrali: non si muove nessuno fuori di casa. Secondo punto: le fabbriche restano chiuse fino al 9 febbraio. Se al termine di questo periodo queste dovessero riaprire, dal punto di vista industriale il danno sarebbe ragionevolmente recuperabile. Ma se la situazione andasse oltre le ripercussioni sarebbero molto rilevanti in Cina, così come per le catene di fornitura globali. Secondo me, sotto questo profilo, l’impatto del coronavirus potrebbe superare quello della guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina. Terzo aspetto: le relazioni internazionali vengono azzerate.
Tutte le operazioni che dovevano andare in porto come accordi commerciali, M&A, joint venture si sono bloccate. Tutte le imprese italiane con le quali io sono in contatto, infatti, hanno sospeso tutte le missioni in Cina. Per almeno un mese mezzo, più in generale, non vedo italiani che possano recarsi serenamente nel Paese.

Quali sono i settori che ritiene più esposti, in questa fase, ai danni del coronavirus?

Se parliamo dell’Italia il discorso è molto semplice. Innanzitutto il turismo: i consumatori cinesi sono il primo scontrino in Italia, sono stati tre milioni nel 2018, ed era previsto un aumento per quest’anno in concomitanza dell’anno della cultura e del turismo fra Italia e Cina.
Ma il turismo proveniente dalla Cina sarà significativamente impattato. In secondo luogo il settore del lusso: il 50% della domanda di beni di lusso viene dai consumatori cinesi. Pertanto le imprese italiane del lusso saranno impattate. Terzo, il settore dell’automazione industriale di cui l’Italia è esportatrice. In un clima di incertezza la propensione agli investimenti tende a scendere.

Secondo lei la Cina avrebbe interesse a sottostimare la reale entità della minaccia del virus? Vede una certa sfiducia sulla completezza delle informazioni fornite dalle autorità?

Il mondo occidentale, memore di quanto era successo con la Sars, potrebbe ritenere che ci sia stata una sottostima della minaccia. Io, che conosco più da vicino i cinesi, credo che questa volta siano stati più realisti del re. Con questa reazione così dura, così netta (nell’ambito della quale la gente non esce di casa non solo a Wuhan, ma anche a Shanghai e Pechino) i cinesi vogliono dimostrare al mondo una capacità di gestione molto diversa e molto più efficace rispetto a quella messa in campo con la Sars.
Si pensi che a Xi’an, una città di 12 milioni di abitanti nella quale sono stati registrati 10 casi di contagio, sono state chiuse stamattina 118 linee di trasporto pubblico.

Quanto potrà protrarsi questa situazione di paralisi, secondo lei?

A metà febbraio, decorso il periodo di incubazione della malattia, le autorità cinesi faranno il punto. Si capirà dunque se le misure adottate avranno arginato il problema. A quel punto potrà, eventualmente, cominciare una fase di riapertura che dovrebbe essere graduale e non immediata.