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GIU’ LE MERCI

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(WSI) –
La crisi dei subprime ha fatto passare la voglia di fusioni e acquisizioni anche nel comparto delle materie prime. E’ questo il motivo principale per cui, spiegano gli operatori, l’indice Msci di settore nell’ultimo mese (fino al 20 agosto e calcolato in euro) ha perso quasi il 14%. Il terremoto provocato dai mutui americani per le persone meno abbienti ha convinto le società di private equity a prendere una pausa dall’attività di Merger & Aquisition di cui sono state protagoniste nei mesi scorsi.

Sul mercato, spiegano gli analisti in questo momento ci sono troppe incognite. Su tutte, la difficoltà a raccogliere soldi da investire in fusioni e acquisizioni a tassi ragionevoli. Soprattutto in un momento in cui gli investitori preferiscono tenere in tasca la liquidità per far fronte a un’eventuale recessione e in cui non è ancora chiaro come si muoveranno le banche centrali sul fronte del costo del denaro.

La Federal Reserve, dopo aver tagliato di 50 punti il costo del biglietto verde che presta direttamente alle banche, potrebbe decidere un ribasso più generalizzato. Ma si tratta di ipotesi degli economisti che, per ora, non hanno trovato conferme ufficiali. La Banca centrale europea, invece, ha già annunciato una stretta per settembre. Gli esperti concordano sul fatto che una manovra del genere rischierebbe di strozzare le aziende di Eurolandia spingendone molte al fallimento. Da parte della Bce, però, non si registrano intenzioni di cambiare rotta. Il Chicago Board Options Volatility Index, un indicatore che misura la paura degli investitori, dopo la mossa della Fed è rimasto vicino ai valori massimi toccati nel 2003.

A questa situazione di incertezza si uniscono poi gli eventi naturali con effetti, a volte, paradossali. Il terremoto in Perù, uno dei maggiori produttori mondiali di rame, in condizioni normali avrebbe fatto schizzare il prezzo del metallo rosso. In piena crisi subprime, invece, gli investitori hanno preferito vendere e incassare.

L’uragano Dean, invece, ha fatto scendere ulteriormente il prezzo del petrolio. La tempesta, secondo le ultime rilevazioni meteo sta virando verso la Giamaica evitando i pozzi del Golfo del Messico (che contribuisce al 27% della produzione dell’oro nero americano). I future sul barile con scadenza settembre trattati al New York Mercantile Exchange ora valgono poco più di 71 dollari. Sul prezzo del prezioso liquido, comunque, potrebbero influire i gravi disordini in corso in Nigeria con il rischio di distruzione di alcuni impianti.

Segnali di ripresa arrivano, invece, dal fronte dei metalli preziosi. Il platino, che settimana scorsa era sceso ai minimi degli ultimi cinque mesi, ha ripreso a salire e adesso viene trattato vicino ai 1.241 dollari per oncia. Secondo gli analisti la discesa, spinta anche in questo caso dalla crisi dei subprime, non è giustificata soprattutto alla luce delle previsioni di crescita del settore auto che usa il metallo per i filtri. Il prossimo anno, inoltre, AngloPlatinum (il primo estrattore al mondo) dovrebbe ridurre la produzione. Questo, unito a una rinnovata domanda da parte della Cina, potrebbe spingere in alto i corsi delle quotazioni.

Discorso analogo per l’oro, anche se la ripresa in questo caso sarà più lenta. Il metallo giallo sta ancora pagando la fuga degli investitori. Il rafforzamento del dollaro (che settimana scorsa ha recuperato l’1,6% contro l’euro), inoltre, lo sta appesantendo. I due asset, infatti, normalmente si muovono in direzione opposta.

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