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“Fini = Scajola”. Gli squadristi picchiano duro. Colloquio Berlusconi-Colle: “Io vado avanti”

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‘Fini come Scajola’: ‘Il Giornale’ commenta così, con titolo a tutta prima, la vicenda della casa di Montecarlo in possesso del fratello della compagna del presidente della Camera.

“E’ come Claudio Scajola che, poverino, è diventato proprietario di una casa ma ignora la provenienza dei soldi con cui è stata pagata”, scrive Vittorio Feltri nell’editoriale. “Sarà lecito, ma è anche molto brutto che il paladino della legalità alieni a prezzo stracciato una casa donata ad An da un’iscritta e che poi quella casa risulti abitata dal ‘cognato'”.

“Fini e i finiani pensino ciò che gli garba – prosegue Feltri – ma si rendano almeno conto che prendersela con noi è un sintomo di debolezza, se non di disperazione. I fatti sono fatti. E questi sono fatti dai riflessi politici molto pesanti. Non esiste che un presidente della Camera si comporti come Scajola e che, a differenza di questi, non senta la necessità di dimettersi se non altro per coerenza con quanto ha sempre predicato. Desideriamo dargli una mano a rompere gli indugi, avviando un’iniziativa a cui preghiamo i nostri lettori di aderire: una raccolta di firme e di messaggi (sms) telefonici per incoraggiare Fini a fare il proprio dovere: lasciare la presidenza della Camera e limitarsi ad essere il leader di Futuro e libertà”.

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I falchi attaccano: e ora la crisi

Ore di tensione, ci sarebbe stata anche una telefonata informale con il presidente della Repubblica. Intanto insiste: “Se avesse un minimo di senso dello Stato, ora Gianfranco dovrebbe dimettersi”.

di CARMELO LOPAPA

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(WSI) – Gongola, raccontano i suoi. La nota difensiva con cui Gianfranco Fini prova a smarcarsi dal caso monegasco la considera né più né meno che un “autogol”. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ritiratosi sabato notte ad Arcore, vuol incassare subito il dividendo politico di una vicenda sollevata dal suo “Giornale” in concomitanza con lo strappo consumato dal presidente della Camera. E sì che il Cavaliere scommette parecchio sullo “scandalo”, per uscire dall’angolo in cui si ritrova e chiedere la “testa” di Fini. E allora altro che domenica d’agosto. Sono ore ad alta tensione, in cui – riferiscono berlusconiani di stretta osservanza – sarebbe intercorsa anche una telefonata informale con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

“Se avesse un minimo di senso dello Stato, Fini dovrebbe dimettersi” gli hanno sentito dire i consiglieri e i collaboratori più fidati sentiti al telefono da Villa San Martino. L’autodifesa in otto punti della terza carica dello Stato è stata diramata da poco più di un’ora e il capo del governo è un fiume in piena. “Si ritrova nella medesima posizione di Claudio Scajola. Anche il ministro non era stato raggiunto da alcun provvedimento giudiziario, le dimissioni sono state una scelta di opportunità politica – ragiona Berlusconi – Lo stesso dovrebbe fare Gianfranco, ma vedrete che proverà a resistere in ogni modo. Comunque, io non c’entro nulla con questa storia. Hanno fatto tutto i giornali”.

Il premier non dispera. In settimana, in uno degli ultimi vertici del Pdl, al cospetto di ministri e coordinatori presagiva nubi nere in arrivo sull’inquilino di Montecitorio: “Vedrete, da qui a qualche giorno dovrà dimettersi”. E proprio la richiesta di dimissioni è tornata ad essere, non a caso, il tamburo di guerra fatto risuonare per tutto il pomeriggio e fino a sera da tutta la batteria berlusconiana: capigruppo, sottosegretari, semplici peones. Daniela Santanché, tra gli altri, le ritiene “indispensabili”.

Raccontano tuttavia che quando è stata portata al premier la nota di Fini, ad irritarlo non poco sia stato l’incipit del presidente della Camera. Quell'”a differenza di altri non ho l’abitudine di strillare contro i magistrati comunisti”. Una “provocazione”, è stato il commento: “Ormai si pone sullo stesso piano di Bocchino che chiede la sostituzione dei nostri coordinatori e di Della Vedova che apre alle coppie gay e di fatto” avrebbe ribattuto gelido Berlusconi. Per aggiungere poi – come avrebbe fatto dichiarare nei comunicati stampa dei suoi, da lì a breve – che “non ci sono più margini per trattare, c’è solo lo spazio necessario per aprire la crisi e andare a votare”. Addio patto di legislatura, addio intesa con i finiani a settembre, è il senso dei messaggi firmati Pdl. “La verifica con Futuro e Libertà chiusa ancora prima di essere aperta” sintetizza non a caso il vicecapogruppo Osvaldo Napoli.

Il Cavaliere coi suoi si lascia andare a previsioni entusiastiche (sulle dimissioni di Fini) e a considerazioni amare (sul dialogo finito e sul voto). Lo fa a ruota libera con tutti coloro che sente. Tanto che in serata – come era accaduto il 26 luglio subito dopo l’uscita di Fini contro il coordinatore Verdini interrogato dai pm (“Inopportuno mantenere incarichi quando si è indagati”) – il portavoce Bonaiuti si premura a diffondere una nuova “smentita preventiva” su ogni possibile ricostruzione che sarà attribuita al premier, sui quotidiani di oggi. Ma tant’è. Il presidente Berlusconi in queste ore gioca su più tavoli. Manda alla scoperta i falchi del partito minacciando la crisi-raid alla ripresa. Salvo poi prendere atto nei colloqui coi ministri che il voto in autunno è di fatto impossibile e che bisognerà in qualche modo tirare avanti. Possibilmente senza farsi cuocere a fuoco lento dagli uomini del presidente della Camera.

Un punto sembra che il premier lo abbia fatto, a distanza, proprio col capo dello Stato Napolitano, ritiratosi a Stromboli. Nessuna conferma dalle fonti ufficiali, ma i berlusconiani riferiscono di un lungo colloquio informale, qualcosa più che un semplice scambio di auguri di buone vacanze. Nel corso del filo diretto il presidente del Consiglio avrebbe fatto cenno esplicito alle criticità che il suo governo si ritroverà ad affrontare in Parlamento, dopo l’uscita dei 33 deputati e 10 senatori finiani, formalizzata a chiusura dei lavori d’aula. Con l’istantanea della mozione Caliendo lì a dimostrare che il centrodestra potrebbe anche andare sotto, almeno a Montecitorio, da settembre. Fino a quando ho i numeri io vado avanti, avrebbe spiegato il Cavaliere al presidente della Repubblica che anche in questi giorni ha seguito con attenzione e tacita discrezione l’evolversi della situazione.

Se poi i numeri venissero meno, se il governo non avesse più la maggioranza, tireremo le somme, è il sottinteso berlusconiano. Certo, né ora né in futuro, sarà possibile siglare un “patto” col Quirinale – che il leader Pdl auspicherebbe invece – per garantire lo scioglimento immediato delle Camere, in caso di crisi. Per adesso il premier ha raggiunto Arcore e lì ha fatto sapere di voler restare in questi giorni. “A lavorare”. La convocazione di ministri e big Pdl potrebbe scattare anche prima di fine agosto.

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