Società

FINANZIARIA
E DIRIGISMO
ALLA PRODI

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) –
Per cercare di capire quale è la logica che ha mosso il governo Prodi nella redazione della legge di bilancio – che in Italia si chiama Finanziaria – più delle cifre, sulle quali maggioranza e opposizione parlamentari si sono confrontate, valgono due elementi.

Il primo è la lunghezza e l’estrema attenzione ai dettagli del documento (quasi 300 pagine, una miriade di capitoli e sottocapitoli di spesa, di entrate e di interventi previsti) che non giova alla sua chiarezza, ma testimonia della tendenza della cultura di sinistra a regolamentare nei minimi particolari ogni più piccolo aspetto della fenomenologia sociale, politica e economica.

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Forse, non è inutile ricordare – a questo proposito – che l’Italia è il Paese con il più alto numero di leggi (100-150mila, secondo alcuni; 50mila, secondo altri; 35-37mila seconda altri ancora, senza alcuna possibilità di pervenire a una valutazione condivisa in modo definitivo).

Il secondo elemento è una dichiarazione del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, un cattolico della Margherita, su un argomento che riguarda solo indirettamente la Finanziaria, ma che – in quanto collegato al disegno di riforma degli assetti televisivi – bene illustra un certo tipo di mentalità, dirigista, centralista e statalista che presiede alle decisioni del governo presieduto da Romano Prodi.

Dunque, dice Gentiloni che se l’Auditel non cambierà indirizzo, sarà l’Autorità di Garanzia delle Comunicazioni (cioè lo Stato) a rilevare i dati di ascolto della televisione italiana. Non molti sanno che l’Auditel è un’organizzazione privata, finanziata dagli editori televisivi italiani, che sottopone a monitoraggio 5mila famiglie – un modello scientifico che rappresenta l’universo che guarda la Tv – con l’obiettivo di fornire al mondo pubblicitario un’analisi accurata delle presenze davanti al televisore minuto per minuto. In tal modo, si raggiungono due obbiettivi.

Gli editori televisivi, finanziatori dell’Auditel, sono in grado di fissare i prezzi degli spot sulla base del numero e della qualità dei telespettatori (audience) per ogni spettacolo trasmesso. Il mondo pubblicitario – le aziende che investono in pubblicità televisiva – ha la certezza di investire i propri quattrini dove gli è più conveniente per numero e qualità dei telespettatori che hanno assistito a quello stesso spettacolo.

In altri termini, l’Auditel è una specie di termometro che registra in maniera asettica la “febbre televisiva” degli italiani; è un organismo che opera in maniera privatistica al servizio dell’industria italiana, sia di quella che produce spettacoli televisivi, sia di quella che produce beni e servizi e li reclamizza in televisione. I costi dell’intero sistema sono di circa 15milioni di euro all’anno, sostenuti, come si è detto, dagli editori televisivi sotto il controllo degli inserzionisti pubblicitari.

A questo punto, diventa difficile capire perché – secondo il ministro Gentiloni – lo Stato italiano dovrebbe spendere non pochi quattrini per occuparsi di un problema – che un’organizzazione privata come l’Auditel risolve egregiamente con soddisfazione dei suoi utenti – che riguarda, appunto, gli interessi privati degli editori e degli inserzionisti televisivi.

Ma tant’è. Questa è la mentalità che presiede il governo di centrosinistra. Con quali risultati, poi, non è difficile immaginare. Poiché le Autorità sono organismi pubblici, i cui presidenti e i principali dirigenti sono di nomina governativa, il risultato sarebbe che la politica metterebbe le mani anche su uno strumento che oggi ha una sua logica perché risponde agli interessi di chi lo paga e ne utilizza i servizi, mentre domani finirebbe col rispondere, probabilmente, a ragioni di natura politica.

È lo stesso ministro, del resto, a rivelarlo quando dice che «la dittatura del dato quantitativo rimane un errore. Tant’è vero che nel prossimo Contratto di servizio della Rai all’indice di ascolto sarà affiancato un indice di valore pubblico». Ma chi lo stabilirebbe il «valore pubblico» di uno spettacolo televisivo, cioè di un dato empiricamente ben poco rilevabile? È evidente chi. La politica, o meglio chi deterrebbe il potere in quel momento.

Mi scuso con i lettori per la lunga digressione e torno alla Finanziaria. Il bilancio di un’azienda privata non meno di quello dello Stato – lo diceva un illustre finanziere italiano – è sempre un documento che, se lo si giudica solo sotto il profilo strettamente contabile, si presta a molte interpretazioni e non di rado anche a qualche inganno.

Ma la Finanziaria, cioè il bilancio dello Stato, è un documento politico, esclusivamente politico, perché esso rappresenta la politica economica e finanziaria del governo in carica. Orbene, la Finanziaria di Prodi è la manifestazione esemplare della politica economica e finanziaria di un governo che – in quanto ispirato a una cultura di sinistra – è sostanzialmente statalista e dirigista.

Non c’è, dunque, nulla di nuovo e tanto meno scandaloso in una politica economica e finanziaria di sinistra, c’è solo – basta saperlo – che essa, come accade in tutto il mondo, privilegia l’imposizione fiscale alla riduzione della spesa pubblica, tende a favorire i ceti e le classi sociali che ne sono la base elettorale (come fa del resto la destra su un altro verso quand’è al governo), cioè l’impiego pubblico, i lavoratori della grande industria inquadrati nei sindacati, e penalizza il ceto medio e il lavoro autonomo.

Per giustificare questa scelta, il governo ha definito “ricchi” anche i percettori di redditi oltre i 40mila euro lordi annui, cioè un ceto borghese che a mala pena riesce a tirare a campare. Ciò che è singolare è che a lamentarsene siano anche molti italiani che hanno votato la sinistra. Ma non lo sapevano che la sinistra è questa?

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