Economia

Fed ha già imposto una stretta monetaria senza che nessuno se ne sia accorto

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NEW YORK (WSI) – Svelato il motivo dietro alle dichiarazioni controcorrente del falco della Federal Reserve Bill Dudley, ex di Goldman Sachs, secondo cui l’ipotesi di un rialzo dei tassi di interesse a settembre negli Stti Uniti è ora “meno convincente”.

Un calo del 10% dei prezzi di mercato ha un impatto sulle condizioni finanziarie e quindi sull’economia generale equivalente a un rialzo dei tassi di interesse di 15 punti base. I calcoli sono della stessa banca per la quale ha lavorato Dudley, Goldman Sachs.

Da un anno ormai la Fed è indecisa se imporre o meno una stretta monetaria di un quarto di punto percentuale, ossia di 25 punti base.

Da quando ha pubblicato i verbali dell’ultima riunione di politica monetaria, l’S&P 500 ha subito un calo costante dai massimi di 2.100 punti, fino alla seduta di ieri. Il ribasso dai massimi ai minimi intraday di inizio settimana è stato del 13%.

In pratica è come se l’economia americana avesse già dovuto fare i conti con un incremento del costo del denaro di 15 punti base, più della metà del rialzo che da molto tempo la Fed ha così paura di imporre.

Una flessione del 10% dei mercati azionari, spiega Goldman Sachs, porta alla riduzione degli asset e beni finanziari dei nuclei familiari statunitensi di circa 1.900 miliardi di dollari.

Ogni dollaro in meno nel patrimonio finanziario delle famiglie ha un impatto nei consumi di 0,02 dollari. Significa che un calo del 10% dei prezzi azionari provoca una contraizione del Pil dello 0,2%. Un incremento dei tassi di 10-20 punti base, a seconda del coefficiente scelto per calcolare la differenza in termini di produzione.

Si capisce dunque come mai Dudley e i suoi colleghi del braccio di politica monetaria della Fed si possano permettere di rimandare la stretta monetaria, che a questi valori di Borsa è diventata meno urgente.

Il problema è che con il rally visto nell’ultima seduta e il Dow Jones che ha registrato la terzo migliore performance della sua storia, un rialzo dei tassi a settembre torna in gioco. È un paradosso: il mercato in pratica deve sperare che gli indici non salgano, sicuramente non sul breve termine.

Se infatti il paniere allargato dovesse salire di altri 100-150 punti, gli investitori possono essere certi che Janet Yellen farà quello che ha previsto di fare prima che i mercati venissero contagiati dalla fuga dagli asset rischiosi.

La Federal Reserve ha insomma trasformato il mercato azionario in un “muro di specchi”. A sostenerlo è Jim Grant, autore di diversi libri di finanza e di un osservatore dei tassi di interesse sulle turbolenze di mercato.

“I prezzi azionari, si chiede retoricamente Grant, non dovrebbero essere stabiliti da chi opera con spontaneità nei mercati, anziché essere imposti dall’alto?”. Purtroppo solo la minoranza degli operatori di Borsa conosce la risposta o per lo meno sembra di averne capito questo meccanismo distorto.

(DaC)