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FED alza i tassi per la prima volta dal 2018, altre sei strette entro fine anno

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Come atteso dagli analisti, per la prima volta dal 2018, la Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse di 25 punti base, portandoli allo 0,25-0,50 per cento. Una decisione ampiamente attesa, che prende le mosse dalla necessità di mettere un freno alla corsa dell’inflazione, che nel mese di febbraio ha sfiorato l’8%, valore massimo da 40 anni. La decisione non è stata presa all’unanimità: il falco James Bullard, presidente della Fed di St. Louis, avrebbe preferito un rialzo di 50 punti base.

Ma quello di ieri è solo il primo passo di un processo di normalizzazione dei tassi, che nel giro di due anni dovrebbe portare il costo del denaro fino al 3%. Le indicazioni dei singoli governatori puntano ora a un tasso mediano compreso tra l’1,75 e il 2% quest’anno, pari ad altri sei aumenti dei tassi – praticamente un rialzo da 0,25 punti percentuali in ciascuna delle prossime riunioni fino a dicembre. Per il 2023 sono indicati anche altri quattro rialzi da 25 punti base, fino al 2,75-3%, mentre nel 2024 i Fed funds potrebbero restare fermi.

“Mentre mi guardavo intorno al tavolo durante la riunione, ho visto un comitato che è profondamente consapevole della necessità di riportare l’economia alla stabilità dei prezzi e determinato a utilizzare i nostri strumenti per fare esattamente questo”, ha detto Powell ai giornalisti dopo una riunione di due giorni del Federal Open Market Committee (FOMC).

Il compito della FED non sarà però semplice, secondo gli osservatori. “L’essere in grado guidare l’inflazione al ribasso dai massimi di 40 anni, con la massima occupazione, suggerisce che un atterraggio regolare è molto difficile da raggiungere“, ha affermato Matthew Luzzetti, capo economista statunitense presso Deutsche Bank Securities. “A un certo punto dovranno affrontare il compromesso tra aumentare la disoccupazione o accettare un’inflazione più alta”, ha spiegato.

“La FED sta cercando di raddrizzare la nave”, ha aggiunto Andy Kapyrin, chief investment officer di RegentAtlantic. “La mia aspettativa è che diventino più aggressivi nel corso dell’anno, soprattutto se l’inflazione rimane alta”. Prima dell’esplosione delle tensioni in Ucraina era sul tavolo degli investitori anche una possibile mossa di 50 punti base e non è escluso che questa possa arrivare più avanti nel corso dell’anno.

In una prossima riunione, forse già il 4 maggio, saranno anche decise riduzioni dei portafogli di titoli acquistati.

Le previsioni per le mosse della Fed

La mossa della Fed è legata alla previsione di un’economia ancora solida, con un’inflazione comunque destinata a tornare verso il due per cento.  Le proiezioni indicano in realtà un pil in brusca frenata quest’anno, rispetto alle precedenti previsioni (+2,8%, dal 4% indicato a dicembre), ma confermano i ritmi per il 2023 (2,2%, come a dicembre) e per il 2024 (2%).

“La probabilità di una recessione nel prossimo anno non è particolarmente elevata ha detto il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, nel corso della conferenza stampa successiva alle decisioni della Banca centrale statunitense, ribadendo più volte che l’economia statunitense è “molto forte” e ricordando che la crescita potenziale è attorno all’1,75%.

“Le previsioni di crescita sono state ritoccate solo moderatamente al ribasso nel brevissimo termine, dato che l’attività economica degli Stati Uniti è abbastanza isolata dalle conseguenze della guerra in Ucraina, fa notare Silvia Dall’Angelo, Senior Economist per la divisione internazionale di Federated Hermes. “In particolare, gli Stati Uniti sono indipendenti sul fronte energetico, il che significa che la loro economia è poco sensibile ai cambiamenti dei prezzi dell’energia. Al contrario, ci si aspetta l’inflazione rimanga elevata per tutto l’anno, con la recente impennata dei prezzi dell’energia che spinge più avanti il tanto atteso inflection point al ribasso. La Fed è ben consapevole del rischio di una spirale prezzi-salari: più a lungo l’inflazione rimane elevata, più alto è il rischio che diventi perdurante attraverso le aspettative e le dinamiche di formazione dei salari. Ed i recenti sviluppi degli indicatori d’inflazione e del mercato del lavoro indicano già alcuni effetti secondari”.