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FATE QUALCOSA PER RIEQUILIBRARE I MERCATI

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(WSI) – Stoptrichet.com è un sito che da qualche mese prende di mira il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, e le sue scelte di politica monetaria. Ad animarlo è un gruppo di economisti francesi che giudicano gli ultimi rialzi dei tassi sull’euro. Forse stoptrichet.com è solo “colore” internettiano, forse esagera, ma gli ultimi dati dell’economia europea e internazionale danno certamente da pensare. L’industria tedesca, e con essa quella della intera area euro, si sta fermando, altrettanto fa quella americana; del Giappone è meglio non parlare. Continua, è vero, il boom della Cina e di altri paesi emergenti, ma ad oggi le previsioni di consenso dicono che l’economia mondiale crescerà del 2,9%, un punto meno del 2007. E siamo solo alla fine di luglio: aggiornamenti al ribasso sono sempre possibili. Se non tutto il pianeta, almeno la sua parte occidentale insomma, rischia una recessione molto seria. Era proprio il caso di premere il pedale del freno ci si chiede?

In un recente libro sulla Grande Depressione () lo storico Randall Parker ricorda il ruolo che le idee della Scuola Austriaca e dei suoi seguaci americani nei circoli politici, i così detti , ebbero nel causarla. I liquidazionisti, che esercitavano una notevole influenza sul presidente Hoover, ritenevano che gli operatori economici dovessero essere indotti a modificare gli sconsiderati modelli di consumo e di investimento che erano stati alla base del boom degli anni Venti e del successivo crollo di Wall Street. Solo una profonda , anche a costo di massicci fallimenti, avrebbe purgato dagli eccessi e consentito di ripartire. Dunque non era il caso di cambiare indirizzi di politica monetaria. Una rigidità, questa, che rese ancora più acuta la depressione.

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Trichet non è Hoover e la Bce non assomiglia alla Federal Reserve del 1929; semmai è una proiezione su più larga scala della Bundesbank. La congiuntura europea e internazionale però camminano sul filo del rasoio.

L’idea della Bce è che l’Europa sia in una situazione molto simile a quella degli anni Settanta, quando a seguito del primo choc petrolifero e delle politiche accomodanti che lo seguirono l’economia del continente finì per impantanarsi nelle secche della stagflazione con indici dei prezzi in forte ascesa mentre il Pil crollava. A riprova Trichet cita segnali che sembrerebbero indicare l’avvio di una spirale salariale e parla di rischio per i prezzi. Ma i critici di questa linea che si ispira alla lezione degli anni Settanta la pensano diversamente e osservano come le economie siano oggi praticamente deindicizzzate e i mercati del lavoro più flessibili.

Dunque, essendo di fronte a spinte inflazionistiche da costi (i rincari del petrolio e delle materie prime) e non da domanda, è più giusto preoccuparsi della possibile involuzione recessiva del sistema, anche perché la politica monetaria produce effetti con un ritardo di almeno uno due anni. Del resto in Europa la bolla immobiliare per esempio si sta rapidamente sgonfiando, in particolare in Spagna, Francia e Irlanda. La Bce in definitiva pagherebbe ancora una volta il suo tributo alla linea ultrarigorista e alla tradizione della Bundesbank.

Al di la dei torti e delle ragioni la disputa tra sostenitori e critici di Trichet mette in evidenza come il rischio di errore nella conduzione delle politiche anticrisi sia molto alto. Questo rischio poi è amplificato da un altro fattore, vale a dire la mancanza di coordinamento a livello internazionale. E’ paradossale infatti che al carattere globale assunto dai meccanismi economici e finanziari corrisponda oggi una concertazione crossborder delle politiche addirittura minore che nel passato. La crisi dei subprime ha riportato i banchieri centrali al centro della scena, come ai vecchi tempi di Hans Tietmeyer e Alan Greenspan, ma essi sembrano muoversi con pericolose logiche isolazioniste.

L’America che sul boom dei consumi finanziati a debito aveva costruito in solitudine la crescita propria e del mondo, Europa inclusa, è ora lasciata sola a gestire il deleveraging e una crisi finanziaria potenzialmente catastrofica per tutti. I signori delle valute asiatiche, impedendo l’apprezzamento delle proprie monete, frenano il riequilibrio delle partite correnti USA. La Bce, con la sua politica dei tassi, affonda il dollaro, il quale a sua volta con la sua debolezza alimenta il rialzo del greggio e delle materie prime in una catena senza fine. Forse i tempi non sono maturi per una nuova Bretton Woods, ma un accordo stile Plaza 1985 sembra davvero improcrastinabile.

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