Società

FATE IL PIENO
DI T-BOND USA

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*Presidente della società
di ricerca A. Gary Shilling
& Co. Scrive per «Forbes». Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Siamo alle soglie di un periodo terribile per il settore residenziale Usa. Esiste infatti un «normale» ritardo di circa 18-24 mesi tra il picco delle vendite di immobili e quello dei prezzi. E poichè la vetta delle vendite è stata raggiunta nel settembre 2005, ora dovremmo essere prossimi al crollo dei prezzi.

Perché esiste questo sfasamento? Perché all’inizio i possessori di case non accettano condizioni peggiorative e preferiscono fare un passo indietro in attesa di tempi migliori. Solo in seguito, quando le quotazioni rifiutano di tornare ai livelli desiderati, i venditori chinano il capo e modificano le loro richieste. Nel frattempo le case da collocare si sono accumulate, creando le premesse per una seconda gamba ribassista.

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RISCHI INFLATIVI. È impossibile non riscontrare il puntuale materializzarsi di questo schema nella situazione corrente. Ad esempio, il numero di abitazioni invendute richiederebbe 7-8 mesi per essere smaltito, mentre due anni fa ne sarebbero stati sufficienti molti meno. Eppure la Federal Reserve sembra più in apprensione per la dinamica dei prezzi, che per il raffreddamento della congiuntura. Certo, l’inflazione inerziale (depurata delle componenti volatili dell’energia e delle derrate) è un po’ superiore al range ottimale individuato ufficiosamente dalla Banca centrale (1-2%). Bernanke dice che il carovita va estirpato alla radice per evitare che faccia da lievito alle aspettative dei consumatori. In effetti, secondo un’indagine di maggio, gli americani collocano l’inflazione dei prossimi 12 mesi al 5,5%, un aumento rispetto al 4,6% previsto a febbraio. Dunque, Bernanke ha ragioni da vendere quando ritiene eccessive le tendenze inflative, però il discorso cambia se ne fa un cavallo di battaglia.

A mio giudizio, infatti, il costo della vita rimane all’interno di un sentiero ben delimitato, soprattutto tenendo conto della liquidità in circolazione, della forte congiuntura internazionale e del netto balzo delle commodity. Perciò, al suo posto, mi concentrerei sui rischi di un tracollo dell’attività edile e dei prezzi delle abitazioni, giacché rappresenta una minaccia seria per l’economia. Le statistiche supportano questi miei timori: dalla fine degli anni ’40, quando il ritmo di sviluppo del Pil è sceso sotto il 3% per 4 trimestri consecutivi – com’è adesso – si era molto prossimi a una recessione o addirittura già in piena recessione.

NO AI MATTONI. Dovendo decidere dove investire, le mie preferenze vanno ai titoli del debito, mentre evito come la peste le società delle costruzioni. Del resto, i rendimenti dei titoli obbligazionari sono saliti in risposta alle parole della Fed, secondo cui difficilmente il costo del denaro verrà tagliato. Magari le cedole aumenteranno un altro po’, dando seguito alla tendenza in atto, ma in prospettiva penso che siano destinate a calare. Se la mia analisi sullo stato di salute dell’economia è corretta, i detentori di liquidità si rifugeranno nel porto sicuro dei Buoni del Tesoro, e da lì prenderanno il mare solo quando la tempesta sarà passata. Dunque, sì alle emissioni governative.

No, invece, al mattone e all’industria delle costruzioni, perché siamo di fronte a una recrudescenza della malattia vissuta negli ultimi 12 mesi. In particolare, no alle aziende di credito specializzate nei prestiti ad alto rischio. Talune sono già finite gambe all’aria nel 2007 mentre altre hanno subito gravi rettifiche nelle quotazioni di Borsa. E quelle che sono sopravvissute risentiranno presto sia del rincaro dei mutui ipotecari, che del rallentamento delle compravendite immobiliari.

Dico no anche agli homebuilder (titoli delle costruzioni, ndr). Su questo si registrano due scuole di pensiero: alcuni esperti sostengono che la drastica correzione dei loro corsi azionari nel 2006-2007 lascia presagire un’imminente ripresa. Altri, tra cui il sottoscritto, ribattono invece che se assisteremo a un peggioramento dell’attività residenziale, queste compagnie saranno le prime a contabilizzare delle perdite notevoli in bilancio. Ecco perché non mi abbandono a facili entusiasmi.

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