Società

‘Facce’: Ignazio Marino

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ROMA (WSI) – In questa nuova sezione, che abbiamo chiamato ‘Facce’ (nel senso di visi, volti) Wall Street Italia pubblichera’ a cadenza variabile i ritratti di personaggi che, spesso nel male qualche volta nel bene, assillano la nostra vita pubblica.

Gianni Alemanno, che per i danni inferti a Roma è secondo solo a Nerone, lo definisce un marziano. Un alieno catapultato nella città eterna dagli spazi siderali, estraneo all’affarismo ministeriale, agli inciuci del generone, alle bolse riverniciature della dolce vita che fu. Uno troppo dinamico per potersi adattare alle atmosfere stravaccate del Ponentino. Troppo algido per fare il sindaco. E poi è nato a Genova, che ne può sapere di Roma? (Tanto gli italiani hanno la memoria corta, nessuno ricorda più che Alemanno è di Bari).

Ma lui, Ignazio Marino, senatore Pd e medico chirurgo, marcia dritto verso il Campidoglio a bordo di un Openbus, cercando di miscelare gli anatemi contro i guasti prodotti dalla destra con i disegni del riformismo messianico. Non sempre i suoi messaggi vengono ben inquadrati. Il romano medio, un po’ indolente, vede come fumo negli occhi il suo programma ecoverde che minaccia di chiudere alcune delle arterie centrali al traffico automobilistico per favorire l’uso della bicicletta.

A volte i suoi propositi suscitano addirittura rigetto. Alcune sue oblique opinioni sulla vivisezione gli hanno procurato l’ostilità degli animalisti. Costringendolo, prima di un comizio, a sottrarsi alle loro ire e a trovare ingloriosamente rifugio dentro un portone. Essendo però un esperto mondiale di trapianti, è convinto di riuscire a trapiantare se stesso anche nei tessuti incompatibili dell’antipolitica, dell’apatia e del menefreghismo.

Con gli avversari usa la scimitarra. Ad Alemanno rinfaccia il degrado di una città che si è riscoperta come unica vocazione il suk. Ad Alfio Marchini, erede di una grande famiglia di sinistra e campione di polo, rimprovera di essere attratto contemporaneamente dal caviale e dall’amatriciana. Ha rispetto solo per Marcello De Vito, il candidato grillino al Campidoglio, che lo ricambia secondo lo stile della casa spedendogli regolarmente dei vaffa. Ma ancor più tagliente era stato con gli avversari interni, gli altri aspiranti del Pd che lui considerava zombie.

Si vende come un politico integro e rigoroso. In effetti, non ha grandi scheletri nell’armadio, salvo un controverso pasticcio con le note spese quando insegnava a Pittsburgh. Una cresta che lui nega vibrantemente. Nel partito ha il ruolo del grillo parlante. Ma non scalda i cuori. Alle primarie Pd di qualche anno fa arrivò terzo, dietro Bersani e Franceschini. Chi lo sente comiziare trova le sue idee più vicine a Sel che al Pd (ammesso che il Pd abbia ancora idee).

Forse per questo il partitone a cui pare sia ancora iscritto lo sostiene tiepidamente. Come fece con la Bonino alle regionali in cui trionfò la Polverini. Forse subodorando che in una città influenzata sempre dagli incensi della Chiesa gli sbandamenti a sinistra sono sinonimi di suicidio. O forse per non irritare Berlusconi che, brividi di paura, se perde la pazienza fa cadere il governo. Solo domenica scorsa, una settimana prima del voto, Guglielmo Epifani si è ricordato che, dopotutto, è Marino il candidato del Pd ed è accorso ad appoggiarlo al Testaccio.

Stranamente Marino è però in testa ai sondaggi. Anche se Alemanno, passando come una salamandra tra i fuochi dei suoi fallimenti, è in rimonta. Male che vada il marziano andrà al ballottaggio. E potrebbe pure capitare, nella distrazione balneare di inizio estate, che nella seconda domenica di giugno si insedi al Campidoglio. A insaputa del Pd. Se accadrà, Roma digerirà in pochi giorni anche lui, come fece con il marziano di Flaiano. Se ha accettato sindaco pure Franco Carraro, di cui nessuno ricorda un solo gesto politico, va bene pure Marino. Nulla e nessuno può turbare la sua fama eterna. E’ rimasta caput mundi perfino sotto Alemanno.