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Europee: Pd stravince come la Dc degli anni ’60, debacle M5S

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ROMA (WSI) – Elezioni Europee: un trionfo del Pd e una debacle dei pentastellati. Il partito democratico ha raggiunto una percentuale di consenso che è andata oltre ogni aspettativa, il 40,81%, e che si traduce in circa 11,2 milioni di voti.

Il movimento di Beppe Grillo, che alla vigilia dell’appuntamento con le urne, era certo di riuscire a catturare una valanga di voti sorpassando tutti gli altri competitor ha avuto una performance deludente pur arrivando a conquistare circa 5,8 milioni di voti con una percentuale del 21,16%. Sul terzo gradino del podio si piazza Forza Italia che ha convinto 4,6 milioni di elettori (16,82%).

Buono il risultato della Lega che si attesta sul 6,16% (1,6 milioni di voti). Si ferma al 4,38% il Nuovo centro destra (1,2 milioni di voti) mentre la lista L’altra Europa con Tsipras, che considerando i voti degli italiani dall’estero, con una percentuale dell’8,22, ha guadagnato il “bronzo”, in Italia supera di poco il 4% (4,03).

Sotto il quorum ci sono Fratelli d’Italia (con 3,6%), Verdi Europei (0,89%), Scelta Europea (0,7%), Italia dei Valori (0,65%), Svp (0,5%) e, infine, Io cambio (0,17%).

Le persone che hanno deciso di esprimere il voto sono il 58,7% degli aventi diritto, in calo di quasi otto punti rispetto alle ultimi europee quando andò a votare il 66,4%. Per le comunali ha votato il 71% degli italiani, in calo di oltre cinque punti: alle ultime elezioni aveva votato il 76,4%.

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Dopo il voto delle Europee Matteo Renzi invita il MoVimento 5 Stelle al tavolo delle riforme: “Se donne e uomini di buona volontà dei 5 stelle volessero portare il loro contributo al tavolo delle riforme sarebbero ascoltati”.

Il premier auspica “si apra una riflessione nel M5S: hanno 170 parlamentari, se continuano con lo show e le proteste tradiscono la loro speranza e perdono il loro elettorato”, meglio “se invece senza inciuci, vengono al tavolo delle riforme al quale siamo convinti con la maggioranza e con Forza italia”.

In conferenza stampa a palazzo Chigi, Renzi sottolinea che “il fatto che più del 40% degli elettori abbia espresso un voto per un partito di centrosinitra, che la speranza abbia avuto il doppio dei voti della rabbia, è un messaggio che arriva in tutta Europa e ci dice che questo è il momento dell’Italia che deve guidare semestre, che deve spendere meglio i fondi Ue, che deve guidare il percorso di cambiamento delle istituzioni europee partendo dall’assunto che dobbiamo cambiare prima noi”.

Sull’Europa: “Non abbiamo un problema di flessibilità, ma di un’Europa che si preoccupi anche di salvare le famiglie e le persone. Non chiediamo di cambiare le regole, chiediamo di cambiare l’impostazione e l’approccio dell’Europa”.

“E lo facciamo partendo dalle istituzioni, non dall’antipolitica o dal populismo. Le prossime settimane renderanno chiaro questo, perchè le discussioni sui vertici non dovranno essere impostate sui nomi, ma su che cosa vogliamo far fare al Parlamento, alla Commissione, al Consiglio, all’Eurogruppo”.

“Gli italiani vogliono vedere risultati: le elezioni hanno le loro scadenze, noi vogliamo rispettare le scadenze istituzionali previste”. Ovviamente vanno fatte “tutte le riforme” elencate nel programma di governo: “La riforma istituzionale e costituzionale, la riforma della legge eelttorale per avere la certezza di uno che vince, non per andare a votare; la riforma del mondo del lavoro che è iniziato col decreto e ora si accelera sul ddl; giustizia; fisco”.

Con la vittoria del Pd alle Europee è chiusa la fase della rottamazione? “No, la rottamazione può inziare”, tiene a precisare il premier.

“Abbiamo la possibilità di trovare una terza via tra populisti e i restauratori, io vorrei che stessimo tutti insieme con chi le elezioni le ha vinte, con il centrosinistra europeo”.

“Certo il quadro europeo è difficile da tenere insieme – ha ammesso il presidente del Consiglio -, ci sono diversi populismi, la Lega qua ha ottenuto un buon risultato e ha annunciato che incontrerà altri esponenti antieuro, poi ci sono i Cinque stelle, dove staranno? Dialogheranno con Marine Le Pen? non lo so”.

“Da un lato i populisti hanno ottenuto un risultato straordinario in alcuni paesi, in altri una buona affermazione, poi c’è quella Europa che in questi anni ha fallito – ha ricordato Renzi riferendosi evidentemente al Ppe -. In mezzo c’è un cambiamento possibile, perchè l’Europa torni ad essere un luogo di speranza per imprese famiglie e lavoratori”.

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ROMA (WSI) – Il Pd di Matteo Renzi vince le elezioni europee, davanti a M5s che ottiene un risultato lusinghiero ma comunque nettamente inferiore alle aspettative che lo stesso Grillo aveva prospettato; Forza Italia non raggiunge la soglia del 20% mentre Ncd di Angelino Alfano supera la soglia del 4%, anche se di poco. Questo il quadro dei risultati delle elezioni europee quando sono state scrutinate 60.271 sezioni su 61.592.

I dati

Ecco i risultati quasi completi diffusi dal Viminale: Forza Italia 16,70%, Pd 40,99%, M5S 21,06%, L’altra Europa 4,03%, Lega 6,26%, Ncd 4,35%, Fratelli d’Italia 3,63%, Scelta Europea 0,70%. È stata del 58,69%, invece, l’affluenza definitiva alle urne registrata in Italia. Lo ha reso noto il ministero dell’Interno, quando mancano ancora alcuni comuni. Nelle europee del 2009 – quando si votò in due giorni – l’affluenza alla stessa ora è stata del 66,5%. Il calo è quindi pari a circa 8 punti percentuali.

L’euroscetticismo non sfonda

L’altro dato è che nonostante l’avanzata dei movimenti euroscettici (M5s, Fdi e Lega), la maggior parte degli elettori hanno sostenuto partiti a favore dell’Ue. seppur con impostazioni di politica economica contrapposti.

L’incubo soglia

Ma una frazione di punto può separare il paradiso dall’inferno: chi supererà il 4% manderà a Strasburgo 3-4 deputati, mentre chi non la raggiungerà rimarrà a bocca asciutta. I risultati hanno innanzitutto un valore in sede europea ma anche un significato sulla politica nazionale. Sul primo versante il Pd, se queste percentuali verranno confermate, sarà la prima delegazione all’interno del Pse, potendo così imporre la propria linea che mira a spingere su politiche di sviluppo, per altro ampiamente condivise tra i socialisti.

Crollo di Forza Italia

Viceversa Fi si vedrà assai ridimensionata dentro il Ppe. Grillo poi, che potrebbe mandare in Europa una ventina di deputati, dovrà finalmente dire quello che non ha finora detto: in quale gruppo si collocherà e per quale candidato alla presidenza della Commissione voterà. Anche se sembra scontato il no ad accordi con Le Pen.

La maggioranza

Per quanto riguarda i riflessi sulla politica interna, l’aspettativa creata da Grillo di una vittoria di M5s che sarebbe stato il trampolino per un cambio tanto al Quirinale che ha palazzo Chigi, è andata delusa. Avendo posto l’asticella molto in alto Grillo perde. Il risultato consegna invece una vittoria del Pd del premier Renzi; gli elettori avrebbero privilegiato la stabilità: «se confermato – ha detto Deborah Serracchiani – è un risultato straordinario».

Ma non sono andati bene gli altri partiti di governo, con Ncd che supera la soglia del 4% di poco (Scelta civica ‘ addirittura sotto l’1%). Qualora il partito di Alfano dovesse fallire la soglia, significherebbe che il profilo non di sinistra di Renzi sarebbe in grado di rubare elettori anche ai partiti moderati alleati del Pd, creando una «competition» pericolosa all’interno della maggioranza. Questo potrebbe creare fibrillazioni dentro la stessa maggioranza sulle riforme, tanto costituzionali che economiche; i contrasti sul decreto lavoro visti prima delle urne si moltiplicherebbero su altri provvedimenti. Infine Forza Italia inchiodata al suo minimo storico: Berlusconi nelle ultime settimane ha addirittura ipotizzato uno suo ritorno al governo.

Riforme a rischio?

Ma con le riforme si è visto che c’è una componente favorevole alla rottura e a una politica di opposizione forte a Renzi. Tutto dipenderà dalla capacità di Berlusconi di reimporre la propria leadership.

Ecco i risultati in Europa:

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[ARTICLEIMAGE] Terremoto euroscettico in Francia e nel Regno Unito, dove i governi sono pesantemente battuti dal Front National di Marine Le Pen e dall’Ukip di Nigel Farage, ma l’Unione europea non crolla. Nei risultati (parziali) del Parlamento europeo, lo tsunami anti-Ue è meno violento del previsto. Non solo per il risultato italiano, che sembra premiare il Pd molto al di là delle previsioni. Persino l’affluenza «inverte la tendenza» per la prima volta in dal 1979: era sempre calata, stavolta si attesta al 43,1% su base europea, appena lo 0,1% in più rispetto al 2009, ma è considerato un segnale positivo.

SOTTO IL 20%

I sondaggi indicavano la possibilità che gli euroscettici arrivassero abbondantemente oltre il 25%, sarebbero invece sotto il 20%. E mentre a Bruxelles arrivano i primi dati reali dai 28 paesi dell’Unione, sembra confermato che i “popolari” del Ppe, che hanno guidato l’Europa negli ultimi dieci anni, pur perdendo una sessantina di seggi restano la “famiglia politica” di maggioranza relativa. E che i socialisti dello S&D, cresciuti in Germania e Italia, pagherebbero il crollo a Parigi. Il risultato del Front National è però quello che sciocca. È il primo ministro Valls a parlare di «terremoto». Marine Le Pen arriva a chiedere al presidente Hollande di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. L’inquilino dell’Eliseo risponde convocando per le 8.30 una riunione di crisi.

VERSO LA «GROSSE KOALITION»

Da Londra arrivano reazioni più composte, ma è proprio il leader dell’Ukip a sottolineare che il suo è un risultato storico: «Non era mai successo che un “outsider” vincesse un’elezione in Gran Bretagna». Ed il vero sconfitto, in questo caso, è proprio il premier David Cameron, che l’Unione europea vorrebbe rifondarla.

Mentre Le Pen e Farage festeggiano, cominciano però i preparativi per la «grosse koalition» tra socialisti e democristiani che dovrà guidare l’Europa nei prossimi cinque anni. E mentre tutti avvertono che i risultati sono ancora troppo provvisori per poter essere interpretati nel dettaglio, già parte la sfida tra Jean Claude Juncker e Martin Schulz per la presidenza della Commissione. Ma intanto è evidente il sospiro di sollievo di chi temeva il peggio sul risultato euroscettico. Fanno male i risultati di Francia e Gran Bretagna, però sorprende che la tendenza non sia generalizzata. Il Pvv che in Olanda puntava al primato resta al terzo posto. In Austria il Fpo raddoppia i suoi seggi europei, ma in realtà l’area euroscettica cala complessivamente di un terzo. C’è «una larghissima maggioranza» europeista, sottolineano praticamente tutti i leader che si alternano sul palco tinto di “azzurro Europa” montato al centro dell’emiciclo di Bruxelles, dal francese Joseph Daul presidente del Ppe, al lib-dem Guy Verhofstadt e allo stesso Martin Schulz.

REBUS DOPO-BARROSO

Jean Claude Juncker, pensando alla trattativa che comincerà da martedì, annuncia che «il Ppe è il primo partito e non si metterà in ginocchio» davanti ai socialisti per avere l’indispensabile appoggio alla sua candidatura. D’altro canto lo stesso Schulz afferma che cercherà una maggioranza che lo sosterrà, ma in realtà traspare l’idea di costruire una «grosse koalition» alla tedesca: con guida popolare, ma punti di programma concordati con i socialisti. Tanto che il socialdemocratico tedesco elenca, già dal palco dei primi commenti, le tre condizioni necessarie: lotta contro la disoccupazione giovanile, guerra all’evasione fiscale, più controlli sulle banche.

«Siamo pronti a negoziare su queste basi», afferma il tedesco. Il democristiano lussemburghese poi mette in guardia il Consiglio dalla tentazione di sfruttare lo stallo tra Ppe e S&D per rilanciare la proposta di un candidato dei leader diverso da quei cinque che hanno messo la faccia nella campagna elettorale. «Bisogna rispettare gli elettori», dice Juncker. Mentre Schulz sottolinea la vera novità di queste europee: «Per la prima volta c’è la possibilità che il presidente della Commissione europea non sia scelto con un accordo nel retrobottega».

GERMANIA

Angela Merkel resta in testa in Germania ma non tira aria da trionfo nell’Unione, che rispetto alle federali perde a causa della disfatta in Baviera. I socialdemocratici, invece, esultano per i sette punti riconquistati dopo il disastro di 9 anni fa, e incoronano Martin Schulz, dedicandogli il recupero più straordinario della loro storia.

Veri vincitori della tornata elettorale delle europee 2014 sono però gli antieuro di Alternative fuer Deutschland: non si è verificata l’esplosione che si temeva, fa notare qualcuno, ma con quasi il 7% gli economisti di Bernd Lucke ritengono di essere il nuovo partito popolare tedesco, «sbocciato» a Bruxelles. Sconfitti i populisti di Horst Seehofer, con la Csu che ha perso ben 8 punti in Baviera, e i liberali del giovane Christian Lindner che, precipitando al 3%, non sono riusciti a invertire la tendenza negativa per il partito, che li aveva buttati fuori dal Bundestag a settembre.

Con le nuove regole – la corte costituzionale ha recentemente abolito la soglia al 3% – entrano anche sei piccoli partiti, con un seggio ai nazionalisti di estrema destra dell’NPD, uno per i Pirati e per i Freie Waehler. «Oggi abbiamo vissuto il più grande incremento nella storia dell’Spd in Germania. Il risultato ha un nome e si chiama Martin Schulz», ha detto il vicecancelliere Sigmar Gabriel, portando in trionfo il candidato alla presidenza della Commissione europea. Una candidatura su cui i socialdemocratici, in polemica con Angela Merkel, hanno puntato subito i piedi: «Ho il vento in poppa per la presidenza», ha affermato Schulz.

FRANCIA

Chi trema davvero è la Francia. Per la prima volta il primo partito nel Paese è il Front National, l’estrema destra di Marine Le Pen, che straccia gli avversari della destra UMP e distacca in modo clamoroso i socialisti. Crollo storico per il PS, sotto al 15%, allo sbando la gauche di governo, guidata dal premier Manuel Valls. Il presidente Francois Hollande, alla seconda disfatta consecutiva dopo le amministrative di marzo, ha convocato per domani mattina all’Eliseo una riunione di crisi. C’è da rispondere alla Le Pen, che chiede «solennemente» di sciogliere il Parlamento e di convocare nuove elezioni. Valls, scuro in volto come mai prima, ha ammesso il «terremoto» e il momento «molto grave». Ma è determinato ad andare avanti e, come ha detto per l’ennesima volta, ad «accelerare con le riforme».

Festa a Nanterre, la roccaforte del Front alla periferia di Parigi, sconcerto nel Paese, che pure da mesi era preparato all’inedita situazione con l’estrema destra in testa ai sondaggi. La realtà ha però superato ogni fantasia della vigilia: un francese su 4 ha votato per il Fronte nazionale, e non c’è stato neppure il record di astensioni, che erano state più numerose nel 2009. Sono andati a votare il 43% ma non è servito ad arginare lo tsunami-Le Pen che ha spazzato via con oltre quattro punti di distacco l’UMP, partito della destra parlamentare al quale non ha evidentemente giovato l’improvvisato ritorno in scena dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, che tre giorni fa ha invocato un’Europa franco-tedesca che sospenda immediatamente Schengen. Il Partito socialista tocca il fondo della sua storia, poco oltre il 14% mentre le ipotesi più pessimiste lo davano al 16-17%, che sarebbe già stata una disfatta, come lo era stato cinque anni fa per le europee seguite alla guerra intestina fra Segolene Royal e Martine Aubry.