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EURO: UNA MONETA ANTIPATICA?

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Nell’Eurotower di Francoforte, sede della Banca centrale europea, il nervosismo è palpabile.

L’euro ha ormai detto addio da un pezzo alla parità con il dollaro, e addirittura fatica a tenere quota 0,90. In 16 mesi di vita ha perso quasi il 23% del valore sul dollaro americano, il 25% sul dollaro canadese, il 27% sullo yen, il 18% sulla sterlina britannica, il 18% sul dollaro australiano, il 14% sulla corona svedese.

E di conseguenza per via dei rapporti di cambio la lira ha toccato in queste ore il minimo assoluto nei confronti della valuta americana: oggi un dollaro costa 2.200 lire.

Per noi italiani non e’ una situazione allegra, ma in Germania, Paese abituato fin dal Dopoguerra ad avere una moneta forte e stabile come il marco, l’ostilità verso la moneta unica europea sta montando a livello politico e popolare. L’opposizione cristiano-democratica attacca il cancelliere Schroeder, e chiede un vertice straordinario del Consiglio europeo per affrontare il caso.

I cittadini tedeschi, abituati a scorrazzare per il mondo favoriti dal cambio, incominciano a chiedersi se abbandonare il marco sia stato davvero un buon affare. L’euro non è ancora una moneta ‘fisica’, lo diverrà soltanto nel 2002; ma già è diventata antipatica in diversi Paesi di Euroland.

Come sempre accade in questi casi, è partita la caccia al colpevole, subito individuato nella Banca centrale europea. Scarsa credibilità, politica ondeggiante, poca trasparenza: queste le accuse ricorrenti al vertice della Bce.

Presso gli operatori internazionali l’immagine del presidente Wim Duisenberg e del vicepresidente Christian Noyer è, nei fatti, bruciata. Si salva ancora Otmar Issing, noto economista e componente del ‘board’, soprattutto per il suo passato alla Bundesbank.

Ma è evidente che i mercati credono poco alla strategia della Bce: un atteggiamento che è diventato evidente la scorsa settimana quando, dopo il rialzo dei tassi europei, il cambio dell’euro è caduto ancora.

Non ha giovato alla Bce la polemica di metà aprile con il Fondo monetario internazionale. Nel World Economic Outlook, il Fmi ha chiesto all’autorità monetaria europea di non stroncare la ripresa economica nel vecchio Continente con un aumento dei tassi. La Bce ha risposto picche, con le parole e con i fatti.

E’ lecito chiedersi, alla luce dell’andamento dei mercati, se quella di Duisenberg si sia rivelata una mossa azzeccata.

Infine, le disavventure giudiziarie di Jean-Claude Trichet, il governatore della Banca di Francia che nel 2002 dovrebbe succedere, per patto non scritto, a Duisenberg, rischiano di dare un altro colpo alla credibilità della Banca centrale europea. Nata male, proprio a causa dell’impropria ‘staffetta’ alla presidenza, la Bce rischia di crescere peggio.

Naturalmente, accusare la Banca per tutti i mali della moneta unica è ingeneroso. Di più: è sbagliato. Se la Bce ha compiuto errori di comunicazione, i governi di Euroland hanno fatto errori di sostanza.

Michel Camdessus, direttore generale uscente del Fondo monetario, ha accusato i governi europei di non aver fatto le riforme fiscali e strutturali necessarie a liberare l’economia del continente.

Ci vorrà tempo perchè le decisioni del vertice europeo di Lisbona si trasformino in fatti concreti, e comunque le timide aperture alla flessibilità e alla web economy appaiono inadeguate e tardive.

C’è di più. Manifestazioni come quella del Giubileo del lavoratori a Roma – con il loro contorno di dichiarazioni preoccupate rispetto ad alcune modernizzazioni – hanno senza dubbio un importante valore morale, ma pongono dubbi nel mondo laico e calvinista dei mercati internazionali.

L’Europa è vista ancora come un’area dei ‘pasti gratuiti’ in un mondo che ha da tempo abbandonato i free meals. Non è facile per i governi europei – soprattutto quelli dell’eurosinistra – barcamenarsi tra l’esigenza di modernizzazione e
liberalizzazione e il retaggio di un ampio, e ora inefficiente, welfare.

Così, non è facile per la Banca centrale europea portare avanti una politica monetaria credibile, tenendo ben ferma la barra del timone. Anche il miglior skipper, di fronte a continui salti di vento, ha difficoltà a mantenere la rotta.

Le contraddizioni fra una politica monetaria unica e le diverse politiche economiche dell’area euro rendono difficile la vita a Duisenberg che, per di più, non appare propriamente un Russel Coutts.