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ECONOMIA USA: SCENARIO APOCALITTICO PER MORGAN

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Secondo Stephen Roach, capo economista della banca d’affari Morgan Stanley, gli Stati Uniti, “una volta terra fiera del ‘circolo’ virtuoso, sono adesso intrappolati in un circolo vizioso”.

Sfortunatamente, afferma Roach, “il resto del mondo, che sul piano economico dipende dagli USA, e’ attualmente imprigionato nella stessa dinamica letale”.

“Un nuovo tipo di malattia globale si sta sviluppando e sta portando velocemente l’economia del mondo in un baratro – dice l’economista e aggiunge con tristezza che – non e’ chiaro cosa possiamo fare per spezzare questa catena di eventi”.

In un rapporto dettagliato, Roach spiega lo scenario.

Tutto parte, ovviamente, dagli Stati Uniti.

Secondo calcoli della Morgan Stanley, l’economia USA ha costituito approssimativamente il 40% della crescita cumulativa del PIL mondiale nei 5 anni che si sono conclusi nel 2000.

E’ cio’ rappresenta il doppio rispetto a una quota del 22% stilata dal Fondo Monetario Internazionale.

In ogni caso, a meta’ 2001, questo contributo americano del 40% e’ effettivamente calato fino a “zero” e l’economia degli Stati Uniti si e’ arenata in una sosta virtuale.

Adesso, quindi, il contributo dell’America alla crescita globale e’ piombato in territorio negativo e forse, dice Roach, molto negativo.

Le stime al ribasso di Morgan Stanley sull’economia USA sono di una contrazione del 3% per il trimestre corrente, su base annuale.

Comunque, considerando il ribasso del 2,4% nelle vendite al dettaglio in settembre, i consumi americani sono scesi in una voragine che si sta propagando anche nel quarto trimestre.

E cio’, ha portato bruscamente sul fronte negativo anche le stime sul 4º trimestre.

E la situazione e’ altrettanto negativa – se non peggiore – in Asia.

Si tratta di un’affermazione fin troppo modesta a suggerire lo stato d’animo che c’e’ adesso nella regione, rispetto soltanto a tre mesi fa.

C’e’ un’atmosfera di trepidazione nei circoli ufficiali, con la maggior parte dei leader con una lunga esperienza, che adesso parlano della seconda vera e propria crisi per l’Asia in tre anni.

Queste parole non sono scelte alla leggera.

Appare chiaro che il Giappone, sta rientrando nella quarta recessione in dieci anni.

Mentre la maggior parte dei principali indicatori hanno subito una flessione apprezzabile nei mesi passati, l’ultimo sondaggio Tankan della banca del Giappone condotto a settembre rivela tutto: il calo di 17 punti nell’indice delle condizioni economiche per le grandi industrie manifatturiere costituisce il secondo peggior record.

E la situazione non si presenta migliore per l’indice non manifatturiero.

La disoccupazione in Giappone, inoltre, e’ adesso al livello piu’ alto dal dopo guerra, ovvero al 5%.

Ci si sta muovendo, dunque, verso “l’abisso del fallimento sistematico” come descrive chiaramente Roach.

Negli altri Paesi asiatici lo stato d’animo non e’ lontano dalla disperazione.

Singapore, una volta gioiello prezioso della regione, ha perso tutto il suo splendore.

Non si tratta semplicemente di un doloroso problema ciclico come dimostra l’incredibile calo del 5,6% su base annuale per il PIL nel 3 trimestre 2001, il livello piu’ basso in 35 anni.

La ristrutturazione per Singapore e’ forse l’unico modo per uscire da questa situazione, ma non sembra la soluzione intrapresa nei primi giorni del premier Lee Kwan Yen, e non si prevede ripresa all’orizzonte per quelle che una volta erano le tigri asiatiche.

Ma il dilemma di Singapore e’ soltanto un microcosmo rispetto a quella che e’ la situazione nel resto della regione.

Taiwan sta attraversando il periodo di crescita piu’ debole dai primi anni ’50.

Lo stato d’animo ad Hong kong e’ cosi’ nero da ricordare quello del tardo ’98.

In altre zone della regione, dalla Corea alla Malesia, l’attivita’ economica e’ affondata come una pietra nell’acqua.

La Cina e’ un’importante eccezione a questo trend.

In ogni caso quella che rappresenta la crescita piu’ spettacolare della storia non e’ da considerare proprio un’oasi in questa recessione globale.

Con una crescita delle esportazioni che e’ andata da un +28% nel 2000 a un +0,9% (su base annuale) ad agosto del 2001, il PIL cinese e’ rallentato al 7% nel terzo trimestre, in calo dunque dall’8% della prima meta’ dell’anno.

E non finisce qui.

Le eportazioni cinesi potrebbero portarsi in territorio negativo nei mesi finali dell’anno.

Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, anche l’Europa e’ caduta nello stesso “pozzo nero”.

In nessun luogo questo e’ altrettando evidente come in Germania, dove i leader dell’economia sono ancora scossi dal crollo in settembre della fiducia delle societa’ tedesche.

L’indice ha registrato un calo del 4,5%, il secondo peggior record in quarant’anni di storia, superato solo dalla crisi petrolifera dell’inizio degli anni ’70.

Con la Germania a crescita “zero” si prevede adesso una contrazione sia per l’economia tedesca che per il PIL della zona Euro nel corso di questo trimestre.

E le ricerche dell’IFO convalidano queste previsioni aumentando anzi le preoccupazioni per una contrazione ancora piu’ profonda e lunga di quella ipotizzata.

E la situazione non e’ migliore per i Paesi collegati al NAFTA (USA, Canada, Messico e Sud America) colpiti egualmente dalla batosta, vista la diretta dipendenza dagli USA e con il Sud America trascinato sull’orlo del baratro dalla grave crisi del debito in Argentina.

Non ci si puo’ sbagliare, dunque, afferma Roach, quando si proclama che il mondo si sta dirigendo verso il fondo che, pero’, non sembra avere fine.

Questa situazione e’ purtroppo un altro esempio del lato oscuro della globalizzazione.

Roach e’ stato piu’ volte accusato di esagerare in merito a tale tema, specialmente quando evidenzia la possibilita’ di una secolare riduzione nel commercio e nel flusso di capitali dopo il tragico 11 settembre.

Ma con un commercio globale che adesso rappresenta il 25% del PIL mondiale – un terzo piu’ grande della quota che aveva 10 anni fa – ci si rende conto come tale affermazione non e’ poi cosi’ lontana dalla realta’.

Lo scambio economico tra Paesi e’ infatti ormai una fondamentale dinamica che definisce la forma dell’economia globale.

E non ci possono essere errori nel definire fallito il ciclo boom nel commercio mondiale.

Una punta del 12,8% nel 2000 fa capire come non si possa considerare positivo un incremento dell’1,4% nel 2001, la piu’ forte decelerazione su confronto annuale.

E questo per cio’ che riguarda il commercio di beni, ma per cio’ che riguarda quello dei servizi la situazione, come ha spiegato Joe Quinlan, colega di Roach, non e’ migliore.

E se pensiamo che gli USA sono i piu’ importanti esportatori di servizi, capiamo come il tutto assuma connnotazioni apocalittiche.

Secondo Roach, il riscatto puo’ arrivare soltando dall’America stessa, perche’ secondo l’economisya, la pecca piu’ grande dell’economia globale – guidata dagli USA – e’ che non esiste un motore alternativo agli Stati Uniti.

E questa, ovviamente, e’ una realta’ preoccupante viste le condizioni attuali del Paese.

Gli Stati Uniti stanno fronteggiando attulmente un formidabile flusso di venti contrari.

Non solo si sono trovati a fronteggiare un attacco senza precedenti alla sicurezza nazionale, ma sono appena entrati nel peggior congiuntura economica dalla grande Depressione del ’29.

E gli eccessi del post-boom economico potrebbero inibire ulteriormente una ripresa e una crescita per diversi anni a venire.

Non solo. Gli USA stanno affrontando tutta una serie di nuovi e pesanti costi dovuti agli attentati dell’11 settembre e alla lotta contro il terrorismo, che si prospetta lunga.

E questi costi sembrano assicurare una lenta dinamica nella ripresa di moltissimi settori.

Ecco perche’, davanti a noi tutti, appare inesorabile l’ombra del baratro.