Società

Economia: il mondo sommerso da un debito di 1 quadrilione di dollari

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Luca Ciarrocca e’ il direttore e fondatore di Wall Street Italia.


(WSI) – Il sistema economico-finanziario mondiale e’ ormai inondato dal debito. E’ un fenomeno storico di cui noi, in questa generazione, siamo testimoni, qui ed ora. E’ la piu’ grande bolla debitoria di sempre, pari in totale a 1 quadrilione di dollari. Esatto, questo neologismo lo coniamo qui su Wall Street Italia oggi per dare l’idea di quale sia l’ammontare di carta a buffo che ci sommerge. In cifre $1.000.000.000.000.000, cioe’ 10 alla 15esima. Fate finta che un secondo sia come un dollaro. Un milione di secondi equivale a dodici giorni. Un miliardo di secondi sono 32 anni e cinque trilioni di secondi oltre 158 mila anni. A quanti anni luce corrisponde un quadrilione? Rigiriamo la domanda ai nostri lettori matematici o ingegneri.

Come faremo a ripagare questa enorme massa di carta stampata dalle banche centrali, che davvero non ha precedenti nella storia economica dell’umanita’? Una soluzione radicale sarebbe fare un colossale default planetario, azzerare tutto, e ripartire dal “via”. Ovviamente non e’ possibile (a meno di ipotesi intermedie di ristrutturazione) pena il crack di sistemi politici basati quasi tutti su ordinamenti “law & order” e sul rispetto di leggi e contratti; torneremmo a scambiarci conchiglie, ossa di tibia e per gli amanti dell’economia jurassica, lingotti d’oro (e’ una provocazione: aspettiamo le reazioni dei molti fan del metallo giallo).

Invece, l’enorme massa di debito puo’ essere solo “servita” da ulteriore crescita dell’economia mondiale. E questo e’ il punto. Perche’ sembra proprio che il motore dello sviluppo economico nel mondo si sia imballato in conseguenza della devastante crisi finanziaria del 2008-2009 esplosa in America e diffusasi come in virus aggressivo in ogni angolo della Terra. Il capitalismo sta vivendo una di quelle crisi devastanti di cui nemmeno Carl Marx nel piu’ idilliaco dei suoi sogni si sarebbe immaginato. Il risultato e’ che vediamo in atto enormi pressioni deflazionistiche nel mondo occidentale sviluppato. L’ulteriore conseguenza potrebbe essere una depressione deflazionaria globale con successive dislocazioni geopolitiche molto pesanti (lasciamo alla fantasia di ciascun lettore immaginarle, a seconda delle varie zone geografiche).

La maggior parte dei titoli sui giornali e siti piu’ seri e non al servizio delle propagande politiche locali, negli ultimi mesi si e’ incentrata nella descrizione della questione “debito” parlando dei problemi concreti di Grecia, Portogallo e Italia (il nostro paese ha il record rapporto debito/pil in Europa al 118%, con 1.827 trilioni di euro, ed il terzo del mondo). Eppure gli Stati Uniti quest’anno hanno un debito pari a $8 trilioni di dollari e il debito sovrano in Giappone e’ a livello di rischio ancora piu’ alto (n.1 nel mondo) con un rapporto debito/pil del 219%. Il Giappone in questi mesi sta onorando il debito a un tasso dell’1.50%. Se i tassi dovessero per qualche motivo risalire al 3.50%, Tokyo non sarebbe nemmeno in grado di pagare gli interessi.

Il problema vero delle degenerazioni del capitalismo sono le banche e le banche centrali. Quelle italiane (di cui 2 o 3 hanno seri problemi di liquidita’ dovuti alla forte crescita di crediti “tossici” per i quali dovranno essere ricapitalizzate) sono tutto considerato abbastanza solide, in raffronto per esempio alle banche inglesi. Gli istituti del Regno Unito hanno ammassato $4.4 trilioni di passivita’ all’estero, cioe’ due volte il pil UK. Eppure l’Inghilterra non ha mai fatto default dai tempi del Medio Evo.

La verita’ e’ che questo capitalismo e’ degenerato e Robin Hood sarebbe oggi un eroe se fosse vivo, non perche’ l’altro sistema e’ migliore (leggete bene, lettori che votate a sinistra: l’altro sistema e’ morto e ha fallito…) ma solo perche’ il capitalismo ormai ha smesso di essere fondato sul free market mentre si tiene solo grazie ad un approccio che e’ una miscela mista orrenda, pericolosa, poco etica e soprattutto non funzionante. Investimenti “tossici” che non dovevano mai essere fatti in primo luogo e che dovrebbero essere adesso liquidati, rimangono occultati nei bilanci taroccati del sistema bancario e coperti da politiche monetarie colluse.

La lezione che abbiamo imparato – dopo la recente gravissima crisi finanziaria, la peggiore dalla Grande Depressione del 1929 – e’ che i banchieri, la maggior parte dei quali non sono ne’ lungimiranti ne’ colti, ancora guidano i destini del mondo. In Italia si parla di cricche, caste e P3: si tratta di realta’ inconfutabili e non di “montature” o “polveroni”, come afferma l’attuale premier Silvio Berlusconi. Eppure cricche, caste e P3 fanno tutte ineluttabilmente capo a una super-lobby: quella dei banchieri.

Gli sforzi per riformare il sistema finanziario e il sistema bancario globale, come l’idea di inserire una tassa sulle transazioni dei prodottti derivati piu’ a rischio – la vera droga di questo capitalismo – non hanno fatto grandi passi avanti, come ci si sarebbe aspettati secondo buon senso. Perfino la riforma finanziaria che l’ottimo Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, firmera’ tra pochi giorni a Washington come legge, e’ un patetico cerotto per coprire le ferite di Wall Street e non la seria operazione chirurgica che era urgente fare per estirpare un cancro maligno (del resto, se per far vincere la corsa alla Casa Bianca a un Presidente americano serve 1/2 miliardo di dollari, capirete bene di che spiccioli si tratta rispetto al quadrilione di dollari di cui sopra, soprattutto in relazione al potere effettivo).

I banchieri oggi hanno perfino piu’ voce in capitolo sulle regole disegnate nell’ambito di Basilea dalla BRI, la Banca dei Regolamenti Internazionali. Le banche di tutto il mondo hanno vinto questa mano al tavolo, rispetto a quelle che erano le richieste iniziali sulla necessita’ di ricapitalizzazione e sul taglio delle assunzioni di rischio. Gli enti di controllo e le banche centrali si sono orientati con sicumera verso regole meno stringenti prendendo le distanze dalle prime proposte (purtroppo l’ex presidente della Fed Paul Volcker, consulente finanziario dell’amministrazione Obama, e’ stato messo in posizione di non nuocere). Cosi’ sappiamo fin d’ora che banche centrali, i banchieri e gli stati sovrani continueranno a trattare il mercato finanziario come un tossicodipendente, agendo da spacciatori. Dite voi, qual e’ il disegno di chi sa che l’esito e’ la morte per overdose?

Nel frattempo la Federal Reserve americana ha passivita’ in bilancio che si avvicinano a $5 trilioni di dollari e il rapporto debito/pil degli Stati Uniti sta raggiungendo rapidamente il livello del 100%, non come quello italiano, ma insomma sulla pessima strada di un paese mal gestito che va verso la bancarotta. Quello di Obama e’ un disperato tentativo keynesiano di stimolare un’economia portata sull’orlo del collasso apocalittico (stava per succedere: il 10 ottobre 2008) dopo gli 8 anni irresponsabili del Presidente George W. Bush, coadiuvato sul fronte monetario dal super-colpevole ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan (quello passato alla storia per la sua definizione di “esuberanza irrazionale”, che s’e’ visto dove ci ha portato).

Dunque stiamo descrivendo qui l’enorme massa di indebitamento degli Stati Uniti, la prima economia del mondo, del Giappone, la seconda economia mondiale, della Gran Bretagna, la sesta economia, e dell’Italia, la quinta economia.

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E venendo a casa nostra, quanto sarebbe piu’ opportuno se il ministro Giulio Tremonti invece di parlarci per metafore tra cultura pop e pseudo-filosofia (“siamo in parete” “l’economia mondiale e’ come un video-gioco” “poliarchia e democrazia”, “illuminati”) ci parlasse con onesta’ e coraggio trattando gli italiani da adulti e non da ragazzini da educare (leggere intervista su “Repubblica”).

Tremonti, uno dei pochi membri dell’esecutivo che ha un minimo di competenza sui mercati (e per questo inviso al premier) potrebbe certamente spiegarci, senza finto ottimismo, i rischi sottostanti l’enorme pressione deflazionistica in atto nelle economie dei paesi sviluppati. Lui e’ certamente consapevole del fatto che la deflazione potrebbe portare – il condizionale e’ d’obbligo perche’ in verita’ nessuno sa cosa puo’ davvero accadere – al giorno del giudizio e a batoste di portafoglio globali insomma ad un clamoroso crash deflazionario con tutto cio’ che questo comporterebbe su occupazione, consumi, produzione, prezzi delle case, prezzi di Borsa, stili di vita.

Certo in altre parti del globo la prospettiva e’ meno grama, e infatti la Cina ha appena messo a segno una crescita superiore al 10% nei primi 6 mesi del 2010. Solo che Pechino non potra’ continuare a tirare l’economia mondiale all’infinito. La Cina – che ha un pil ancora relativamente piccolo per gli 1,3 miliardi di abitanti dell’immenso territorio cinese – dipende in massima parte dall’Europa, dagli Stati Uniti e dagli altri mercati occidentali per l’esportazione dei propri prodotti, manufatti con un costo del lavoro tuttora infimo rispetto a quello dell’Occidente. Le sue fabbriche potrebbero trovarsi con una colossale sovraccapacita’ produttiva e i magazzini ricolmi di merce che il resto del mondo potrebbe non comprare piu’.

L’Italia e’ in prima linea in questa guerra economica. Ma gli italiani non lo sanno, non gli viene detto, per cui non capiscono e diciamolo… non gliene frega nulla, tra un Grande Fratello, un mondiale di calcio e un Emilio Fede in onda alle 19. Anche perche’ siamo coperti dall’ombrello dell’Europa e dell’euro, altrimenti Roma parrebbe adesso Buenos Aires nel 2002, altro che Atene in questi giorni. Per cui si parla di tutt’altro e fintantoche’ il cavallo – il popolo italiano – continua a bere la pozione mediatica a base di melassa e finti problemi, i banchieri, i politici, le caste e le cricche continueranno a prosperare indisturbati, senza distinzione tra destra e sinistra. Ogni tanto qualche magistrato richiamera’ l’attenzione su reati gravi e appropriazioni indebite a danno della collettivita’, compiute da qualche ascaro del potere piu’ stupido perche’ accecato dal senso di impunita’; ma nulla cambiera’. E probabilmente capiremo proprio da Giulio Tremonti un bel giorno, quando presentera’ le proprie dimissioni o sara’ costretto a dimettersii, che saremo al “game over” nel video-gioco dell’economia. Almeno nella versione in lingua italiana.