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Ecco la fotografia del PDL prima delle elezioni: candidati senza speranze

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Per la prima volta gli interessi del Pdl coincidono solo in parte con le fortune elettorali del Fondatore (una volta erano in due, ma l’altro ha fatto la fine di Remo). Mai come ora Berlusconi è parso pronto a sacrificare il partito pur di salvare se stesso.

Nelle Comunali di domenica l’imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli. Espugnare entrambe al primo turno sarebbe una prova di salute politica inaspettata; ma pure vincere i ballottaggi all’ombra tanto del Vesuvio che della Madunina gli andrebbe di lusso.

E in fondo in fondo perfino un pareggio, che equivarrebbe a riprendersi solo Milano lasciando Napoli alla sinistra, darebbe al Cavaliere la chance di tirare avanti con il governo, ammaccato ma ancora vivo, fino al capolinea della legislatura (primavera 2013). Se tra sette giorni Berlusconi avrà centrato almeno uno di questi obiettivi, potrà dire: «Io cado sempre in piedi». Per il Pdl è diverso. Quasi l’opposto.

Nell’ansia di sfangarla, Silvio mette in secondo piano la sorte della sua creatura politica. Anziché aiutarla a crescere, a piantare radici sul territorio, a tirar su una nuova classe dirigente, in qualche caso Berlusconi la trascura; in altri la sacrifica senza pietà. Col risultato che il Pdl affronta il voto con la gioia del cappone sotto Natale, quasi vittima designata dal padre padrone.

E’ possibile, per fare un piccolo esempio, che la decisione berlusconiana di correre capolista a Milano possa rappresentare una spinta alla candidata Moratti. C’è chi ne dubita e anzi teme l’effetto-boomerang della campagna ossessiva contro i magistrati, questo eccesso di personalizzazione sul premier tirata al punto che gli spot radiofonici pro Cavaliere implorano: «Se mi vuoi bene, votami».

Berlusconi teme la scarsa affluenza, l’astensionismo. Il suo nome si perde in fondo alla scheda, bisogna cercarlo con cura… Sta di fatto che Silvio si comporta come un’idrovora, asciuga lo stagno delle preferenze (se ne può esprimere al massimo una), i candidati Pdl boccheggiano tutti tranne l’unico che non dovrebbe nemmeno figurare in lista, quel Lassini venuto alla ribalta coi manifesti anti-pm.

Ma il vero conflitto d’interessi tra il premier e il suo partito riguarda essenzialmente Bossi. Per quieto vivere, il Cavaliere consentì mesi fa alla Lega di presentarsi con candidati propri, contrapposti a quelli del Pdl, dove meglio credeva. In pratica, Berlusconi diede il via a una sfida dove i suoi campioni sono destinati al massacro. Per il semplice motivo, dicono in via dell’Umiltà, «che noi combattiamo con le mani legate».

Bossi fa una campagna spregiudicata, ormai si distingue su tutto, specie sulle decisioni impopolari, da Parmalat al nucleare. Il caso più eclatante? La Libia, che provoca al premier vistosi cali di immagine. Il Carroccio non si fa scrupoli di condannare la guerra. Il Pdl invece non ha scampo, può solo trangugiare le scelte governative, subendone gli alti (pochini) e i bassi (parecchi).

Ricapitolando con le parole di Osvaldo Napoli il quale, tra l’altro, da domenica sarà vicepresidente vicario Anci e di contese locali ne capisce: «Tolte Milano e Napoli, che sono affare di Berlusconi, tutto il resto andrà in carico al partito. Ed è lì che il Pdl dimostrerà di esserci o no». Specie nel confronto diretto con la Lega. A Bologna.

In quello che sta diventando il simbolo della disfida, con Bossi che vi comizia un giorno sì e l’altro pure, cioè Gallarate. Guerra crudele perché, se al primo turno la spunta il candidato sindaco del Pdl, poi non è detto che la Lega dia un sostegno compatto nel ballottaggio, specie a Trieste. E comunque lo scontro fratricida è destinato a spingere in alto i padani nel voto di lista, a detrimento di chi si capisce.

In generale la prospettiva del Pdl è grama. Ben che vada al partito del Cavaliere, può liberare Rimini dai «comunisti», e allora giù il cappello. Tuttavia rischia di perdere Latina, mai a sinistra negli ultimi 90 anni, comprendendo l’era del Fascio. Ai vertici Pdl si spera in un colpo di reni a Catanzaro e a Cosenza, si teme invece per Reggio Calabria… I triumviri Pdl (Verdini, Bondi, La Russa) incrociano le dita ma sanno già come va a finire: salvo miracoli, Berlusconi darà la colpa a loro.

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