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(WSI) – Dal G8 di Gleneagles, nel pomeriggio
di ieri, il premier Silvio
Berlusconi è stato esplicito: «Siamo
consapevoli di essere esposti
». La preoccupazione del premier,
però, non si basa tanto sulla
prima rivendicazione apparsa
ieri su un sito e che indica Italia e
Danimarca come
prossimi obiettivi dei
jihadisti, quanto piuttosto
su quella che
spuntò fuori per l’attentato
a Madrid
dell’11 marzo 2004,
che oltre a Stati Uniti
e Spagna citava altri
tre paesi: Gran Bretagna,
Italia e Giappone.
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Di conseguenza,
dopo le bombe di ieri a
Londra, adesso città europee come
Roma o Milano o anche Torino
(il prossimo anno ci sono le
Olimpiadi invernali) secondo la
nostra intelligence potrebbero
essere più a rischio di Parigi o
Berlino. Dice una fonte dei servizi:
«A questo punto, dobbiamo
comportarci come se il prossimo
paese nel mirino fosse l’Italia.
L’attenzione deve essere altissima
come in occasione dei recentissimi
eventi legati alla morte
del Papa. Nello specifico non
avevamo ricevuto
nessun allarme, ma
abbiamo lavorato
come se potesse accadere
qualcosa».
Aggiunge un’altra
fonte, sempre dei
servizi: «La rivendicazione
di ieri è
inattendibile, ma decrittando
quella di Madrid ci sono
tutti gli elementi per capire
che dopo Londra potrebbe toccare
a Roma. Del resto la tecnica
dei terroristi di ieri è simile a
quella dell’11 marzo e prende di
mira le vie di comunicazione, a
differenza dell’11 settembre
americano. Potrebbe trattarsi
anche dello stesso gruppo islamico
».
Fin qui le considerazioni
a caldo raccolte ieri e che probabilmente
saranno ripetute
nella riunione del comitato nazionale
per l’ordine e la sicurezza
che si riunirà stamattina sotto
la presidenza del ministro
dell’Interno, Beppe Pisanu.
Ma la strage di Londra ne offre
anche altri di motivi per rialzare
decisamente la soglia di attenzione
verso il pericolo dei
fondamentalisti islamici. Spiega
un autorevolissimo analista: «Sinora
si sono confrontate due
scuole di pensiero. Da un lato
c’era chi sosteneva che il fenomeno
ultimamente era circoscritto
a Iraq e Agfhanistan perché
i jihadisti andati lì per addestrarsi
poi diventavano visibili
con gli attentati della fatidica
guerriglia contro l’occupazione
occidentale. Dall’altro, invece,
qualcuno ha cominciato ad avere
riscontri concreti su un possibile
ritorno dei reduci in Europa.
Adesso ne abbiamo la certezza e
le due visioni diventano complementari,
nel senso che con questo
reducismo sta prendendo
forma una coesistenza tra il terrorismo
contro le truppe dislocate
laggiù e gli attacchi alle capitali
europee».
E in Italia l’allarme
salirà sempre più anche a causa
dell’immigrazione clandestina:
«E’ un vettore fondamentale del
terrorismo, sia per la manovalanza
criminale sia perché il traffico
umano consente di finanziare
l’organizzazione di attentati, con
l’acquisto di esplosivo anche in
Italia presso bande locali».Tuttavia,
l’operazione di intelligence
preventiva che con l’attentato di
Londra i nostri apparati di sicurezza
dovrebbero intensificare
non si presenta delle più facili.
Innanzitutto per motivi oggettivi,
come illustra bene un esperto
conoscitore del settore: «E’ vero
che a Londra c’è uno straordinario
radicamento della popolazione
araba e quindi le falle possono essere
tantissime, ma non dimentichiamo
che i servizi inglesi in questi
anni hanno investito ingenti risorse
nella sicurezza e sono arrivati
a un grado altissimo di efficienza
ed efficacia. Non era facile abbattere
questo muro. Noi potremmo
avere gli stessi problemi,amplificati
perdipiù dal fatto che non c’è un
coordinamento effettivamente
unitario delle operazioni». E qui si
viene alle cause soggettive. Cioè ai
rapporti non proprio idilliaci tra
l’Interno (da cui dipende il Sisde)
e i servizi militari, che dopo lo
scontro tra Martino e Pisanu sulla
riunificazione degli 007 (il primo
nettamente contrario), rispondono
direttamente a palazzo Chigi,al
sottosegretario Gianni Letta. Senza
contare che sul campo ci sono
poi anche il Cesis e il coordinamento
di azione strategica contro
il terrorismo con a capo Gianni De
Gennaro, il numero uno della polizia.
Non solo: nello scontro in atto,
quello che è successo ieri sembrerebbe
dare ragione ai continui
allarmi lanciati dal Sismi, spesso
rintuzzati dal fronte opposto (anche
se qualcuno riferisce che proprio
il Sisde qualche settimana fa
aveva segnalato la possibilità di attentati
in Inghilterra).
Il punto, allora, che preoccupa
soprattutto l’opposizione è
quello di avere una «catena di comando
vera e unita», per usare le
parole del senatore ds Massimo
Brutti. Dice un altro parlamentare
di sinistra:«Quello che spaventa
è la debolezza del governo in
questo scontro selvaggio che sta
caratterizzando i nostri servizi. E
nei prossimi mesi, l’esecutivo è
destinato a diventare ancora più
debole visto l’approssimarsi delle
elezioni. Noi ci auguriamo che
questa debolezza venga meno di
fronte all’impegno di una continua
vigilanza. Serve un coordinamento
effettivo e soprattutto intercettazioni
telefoniche, checché
ne pensi il ministro Castelli».
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