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E’ IL MERCATO A NON CREDERE ALLA RIPRESA

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Cosa sta succedendo sui mercati finanziari? Lo scenario di una forte ripresa dell’economia mondiale, trainato da Stati Uniti ed Asia, è ancora realistico? Mettere in dubbio queste prospettive può apparire a prima vista fuori luogo, soprattutto alla vigilia del rialzo delle previsioni di crescita dell’economia mondiale che verranno presto annunciate dal Fondo Monetario Internazionale. Eppure tra previsioni e realtà si sta cominciando ad aprire una fessura, di cui i primi ad essersi accorti sono proprio i mercati finanziari.

Infatti, paradossalmente allo scenario di una forte locomotiva statunitense in grado di trainare il resto del mondo non sembrano credere gli operatori più attenti alle prospettive economiche a medio e a lungo termine, ossia i mercati dei capitali. Infatti, i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi a 10 anni non solo non si sono mossi al rialzo, come molti prevedevano, ma sono addirittura scesi negli scorsi giorni al di sotto del 3,8%.

È incontestabile che questi tassi sono superiori al 3,1% toccato l’anno scorso alla vigilia della guerra in Iraq, quando i timori di un rischio di deflazione avevano raggiunto l’apice, ma è altrettanto difficilmente contestabile che se i mercati dei capitali condividessero lo scenario di una solida e forte crescita i rendimenti dovrebbero situarsi almeno al di sopra della soglia del 5% e ciò nonostante il fatto che il funzionamento del mercato obbligazionario americano è «distorto» dalla politica monetaria fortemente espansiva della Federal Reserve e dai massicci acquisti di dollari, che vengono subito usati per comprare obbligazioni, da parte delle banche centrali asiatiche.

I tassi dovrebbero muoversi al rialzo anche perché i dati sull’inflazione negli Stati Uniti non sono più rassicuranti. Infatti, l’indice dei prezzi al consumo è salito sia in gennaio sia in febbraio non solo a causa dell’aumento del prezzo del petrolio, ma anche perché il calo del valore del dollaro spinge al rialzo i beni dei prodotti importati e quindi ridà «pricing power» alle imprese statunitensi. Se ci si basa sulle indicazioni del mercato dei capitali non si può che giungere alla conclusione che la crescita dell’economia statunitense è destinata a rallentare nel prossimo futuro.

Questa è la medesima preoccupazione che traspare dal comunicato della Federal Reserve diffuso dopo la riunione di martedì scorso, nel quale si parla di crescita solida (non più vivace) e in cui si esprimono preoccupazioni per la scarsa prolificità di nuovi posti di lavoro per giungere alla conclusione che non vi è alcuna urgenza di alzare i tassi. I timori sulle prospettive dell’economia a stelle e strisce diventano certezze al di qua dell’Atlantico dove gli indicatori precursori si stanno muovendo da tempo al ribasso. Le preoccupazioni dei mercati dei capitali sembrano non venir più ignorate dalle borse. Infatti, il movimento rialzista dei mercati azionari sembra aver perso molta della sua forza, anche se i listini continuano ad essere sostenuti dal basso costo del denaro e dalle aspettative di aumento degli utili societari.

Tutto ciò fa sospettare che potremmo essere prossimi ad un punto di svolta dei mercati finanziari e ad una revisione delle stime di crescita. In altri termini, è probabile che nelle prossime settimane le borse facciano un lungo movimento laterale (un’ampia curva dal punto di vista grafico) per poi prendere di nuovo la strada del ribasso, anticipando il rallentamento della crescita statunitense e la mancata ripresa dell’economia europea.

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