Società

E’ COMINCIATO
IL DOPO-PRODI

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(WSI) –
La sensazione diffusa, all’indomani delle amministrative e del nuovo ciclone scandalistico legato alle intercettazioni, è che il dopo-Prodi sia cominciato. Tuttavia questo non significa che una crisi di governo sia imminente. Il paradosso è tutto qui. Da un lato si ci si proietta idealmente in una nuova fase politica, ancora del tutto indefinita, dall’altra si resta ancorati all’esistente, sia pure con un sentimento di crescente sfiducia.

Nei fatti il centro-sinistra tende a divaricarsi. Ci sono i Ds sotto assedio, un partito che deve difendersi su più fronti. Poi ci sono i partner della Margherita: dovrebbero essere del tutto solidali con la Quercia, visto che insieme si apprestano a costituire il Partito Democratico. Ma non è così: Rutelli sembra seguire un suo percorso, al termine del quale c’è sì, il Partito Democratico, ma con una forte connotazione liberal-moderata e i diessini subordinati. La speranza è di recuperare il voto dei produttori e del ceto medio deluso, ma la strada è in salita.

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Infine c’è la sinistra radicale che chiede di affrontare in via prioritaria la «questione sociale»: lo ha ripetuto ancora ieri sera il presidente della Camera, Bertinotti. Si smentisce che Rifondazione voglia uscire dal governo, ma il solo fatto che se ne parli indica il malessere crescente di una forza che voleva essere la voce dei “movimenti” e da questi ultimi viene oggi abbandonata.

Due mondi, due ipotesi strategiche che è sempre più difficile far coesistere. Fassino parla della necessità di uno «scatto in avanti». In realtà se ne parla da mesi. Chi non ricorda il vertice di Caserta, all’inizio di gennaio, già allora dedicato alla fantomatica «fase due» del governo? Lo scatto manca per due ragioni: per la debolezza della leadership e per le contraddizioni presenti all’interno della coalizione.

È chiaro che oggi si aggiunge un problema spinoso e cruciale: la condizione politica dei Ds, partito-chiave delle alleanze di governo oggi e domani. Nelle intercettazioni Unipol non c’è, a quanto si sa, nulla di rilevante dal punto di vista giudiziario. Eppure in quella che Giuliano Amato definisce «una follia italiana» si intravede un’immagine desolante della politica quotidiana. Nessuna questione morale risorgente, ma il senso di una politica debole e sfilacciata, priva di trasparenza e di autonomia. Non è tema che riguardi i tribunali, ma senz’altro tocca il rapporto tra una grande forza di sinistra e l’opinione pubblica in un momento di scarsa o nulla credibilità della politica.

Qui forse è il punto nodale della crisi. Occorrerebbe un rinnovamento della politica e delle istituzioni che nessuna forza presente in Parlamento è in grado di assicurare. In fondo lo “scatto” vagheggiato da Fassino riguarda un programma ordinario di governo (pensioni, alta velocità, infrastrutture, eccetera). Invece dovrebbe investire la rigenerazione della vita pubblica e una chiara riforma istituzionale. Il che non appartiene al novero delle ipotesi realistiche.

In forme più prosaiche, l’ennesimo scandalo va a intrecciarsi con il destino di Prodi. E con gli interrogativi sul dopo. Non si può non dar ragione a Luigi La Spina che scriveva ieri sulla “Stampa”: «Tutti gli scenari che si aprirebbero dopo una sua eventuale caduta (del governo Prodi) sembrano far perno sulla figura di D’Alema. Ecco perchè può essere utile, da una parte, non escludere il suo apporto alla soluzione alternativa; dall’altra, condizionare il suo potere, quello del suo partito e dei suoi alleati… agli sviluppi di uno scandalo».

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