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E BERLUSCONI DIRA’: PRONTI A TIRARE LA CINGHIA

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(WSI) – Martedì Berlusconi si presenta in Parlamento, e sulla situazione economica userà il tono sobrio della campagna elettorale. Esattamente come nelle prime uscite pubbliche di Giulio Tremonti, ora insediato al ministero. Premier e superministro si scambiano le prime informative, in vista del discorso sulla fiducia. Lo faranno fino all’ultimo minuto. Perché l’eredità di Prodi è critica.

Dunque gli sgravi ci saranno, ma servono anche scelte che per alcuni saranno “sacrifici”. Purtroppo, «sacrifici» è la parola mitica della perenne emergenza italiana. Quella che ci trasciniamo dietro da decenni, espressa e sintetizzata nel debito pubblico incatenato ben oltre il 100% del prodotto interno lordo. Ieri registrando la trasmissione “In mezz’ora” con Lucia Annunziata che andrà in onda oggi su raitre alle 14,30, Tremonti è stato chiarissimo. Non ci sono tesoretti residui, nell’eredità che Prodi lascia ai suoi successori. E quanto al deficit tendenziale per il 2008, siamo esattamente nelle medesime condizioni in cui il centrodestra iniziò l’esperienza di governo a metà 2001.

Il governo Amato aveva barato sul deficit, dichiarandolo poco più della metà di quel 3,1% di Pil in cui invece si risolse a fine 2001, per via della massiccia spesa pubblica sottostimata e non dichiarata. Allo stesso modo questa volta il deficit pubblico 2008, per la stessa ultima stima lasciata da Padoa-Schioppa poco prima di lasciare l’incarico, è in risalita rispetto al 2007 dello 0,7.0,8% di Pil. Per l’ex ministro, al peggio potrebbe essere intorno al 2,6% del Pil. Ma sono gli stessi tecnici della Ragioneria di Stato guidati da Mario Canzio a stimare che, in realtà, la forbice più attendibile stimabile ora potrebbe con facilità trovarsi tra il 2,8% e il 3,1% del Pil.

Per almeno due ragioni. La prima non è un mistero per nessuno: nell’ultima finanziaria la Ragioneria generale si è vista spesso bypassata e tacitata, di fronte al rifiuto di dare il prescritto bollino alla copertura delle spese disposte. Le quattro Regioni per le quali è stato predisposto il ripiano straordinario delle perdite sanitarie pregresse – in testa a tutte il Lazio di Marrazzo – restano ancora fuori linea. La maggior spesa per la definizione assai estensiva di “lavori usuranti” data in occasione del protocollo del welfare dello scorso luglio, e poi sussunta in finanziaria, non è affatto coperta dagli accantonamenti previsti. E via proseguendo. Ed è proprio per la serietà con cui la Ragioneria di Stato ha continuato a lavorare in questi anni, che il centrodestra appena vinte le elezioni questa volta non ripeterà la clamorosa forzatura compiuta da Prodi e Padoa-Schioppa due anni fa. Allora, non fidandosi dei conti lasciati in eredità da Tremonti, prodi e TPS ebbero la bella pensata di affidare la cosiddetta due diligence – la verifica contabile del deficit tendenziale – a una commisisone di esterni, guidata dal compianto professor Riccado Faini. Purtroppo scomparso, ma senza che questo debba impedire il ricordo che egli era molto “di parte”. Tanto che la sua commissione stimò un deficit tendenziale 2006 che poteva addirittura superare il 5% del Pil.

Mentre nella realtà dei fatti, grazie all’ultima finanziaria di Tremonti precipitosamente chiamato a sostituire Domenico Siniscalco nel settembre 2005, il deficit di competenza chiuse a un 2,3% che tanto scornava il centrosinistra, che Prodi pensò bene di aggiungervi partite straordinarie per innalzare la cifra oltre il 4%, computandovi l’effetto di una sentenza comunitaria in materia di Iva sulle flotte aziendali, nonchè anticipazioni di cassa versate dal governo ad Anas e Ferrovie dello Stato. È banale ma è così: il centrodestra lascia al centrosinistra deficit in discesa, il centrosinistra dice di fare lo stesso ma poi alla fine la sorpresa è amara.

Quanto al secondo fattore che induce alla prudenza Berlusconi e Tremonti, è il forte rallentamento dell’at tività economica. Nel primo trimestre 2008 il gettito Iva – il più immediato indice degli scambi interni – aumenta a un tasso pari alla metà dello stesso trimestre del 2008. Certo, la frenata economica ha motivi internazionali. Ma, sapendolo – la crisi sui mercati finanziari risale ormai a un anno fa – tutto bisognava fare, tranne che stangare l’Italia con 70 miliardi di euro di entrate in più in 18 mesi – è questa l’eredità più pesante di Prodi con spesa aggiuntiva ancora maggiore.

Dunque, se il gettito dovesse continuare a registrare un rallentamento persistente, altro che tesoretti. Bisognerebbe cominciare a vedere seriamente come e dove trovare le decine di miliardi che servono per coprire i provvedimenti necessari a far respirare l’Italia. Se abrogare integralmente l’Ici sulla prima casa costa nell’ambito dei 2,5 miliardi di euro da rifinanziare ai Comuni, il pacchetto di sgravi che serve al Welfare, su straordinario e parti del salario variabile da destinare alla contrattazione decentrata su cui finalmente anche il sindacato è d’accordo, potrebbe variare fino a 10-15 miliardi, se si volesse lanciare un segnale davvero energico, per rilanciare l’economia e garantire insieme più produzione e margini alle aziende, e più reddito disponibile ai lavoratori.

Per questo, Tremonti è stato chiaro. Chi in questi anni ha pagato aliquote reali anche di 20 e 25 punti inferiori al 99% delle piccole e medie imprese italiane, deve aspettarsi un carico fiscale più equo. Sono le grandi banche e i grandi gruppi, i beneficiari della paradossale regressività in cui si risolve il prelievo sui redditi d’impresa italiani. I cocchi del centrosinistra, si potrebbe dire. Non vorranno certo sottrarsi a un più equo carico fiscale, proprio loro che sui loro giornali invocano sempre più durezza nella lotta all’evasione.

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