Società

DUE MACIGNI
SUL NUOVO IRAQ

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Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Spagna (membro di turno) hanno presentato alle Nazioni Unite una risoluzione per abrogare le sanzioni nei confronti dell’Iraq e consentire finalmente che il greggio estratto dai pozzi iracheni possa essere venduto liberamente sui mercati internazionali. Senza i vincoli di “oil-for-food”.

I soldi incassati verrebbero impiegati per lo sviluppo del paese, dopo i danni della dittatura. L’Onu non avrebbe un compito preminente, ma una missione collaterale. In un primo tempo, la gestione degli affari del petrolio e dell’economia sarebbe degli angloamericani, per conto e con la cooperazione delle istituzioni locali; successivamente passerebbe al nuovo governo di Baghdad.

E’ difficile che a questa mozione venga posto il veto nel Consiglio di sicurezza, anche se Francia e Russia vedono sfuggirsi il controllo dell’oro nero dell’Iraq. L’attenzione, semmai, si sposta su come ripristinare la macchina produttiva per tornare al livello prebellico: 2,5 milioni di barili al giorno, di cui 500 mila per gli usi interni e 2 milioni esportati.

Ammesso che, nel 2004, l’Iraq possa produrre 2,5 milioni di barili ed esportarne ufficialmente 2 milioni (senza più il contrabbando di Saddam), non sembra purtroppo che i ricavi, prevedibili attorno ai 15 miliardi di dollari annui, possano bastare per uno sviluppo che non consista nel puro ripristino delle modeste dotazioni di infrastrutture e di impianti già esistenti. Con adeguati investimenti, attorno al 2007, l’Iraq potrebbe arrivare ai 3,5 milioni di barili che riuscì a produrre nel periodo di massima produttività dei suoi pozzi, nel 1979.

Ma il paese ha un grosso debito estero, di almeno 200 miliardi di dollari, costituito dalla somma dei prestiti che Saddam ha contratto sia per finanziare le sue armi e i suoi lussi sia per risarcire, dopo le due guerre, Iran e Kuwait. Se non si ridimensiona questo debito, una buona fetta dei proventi del petrolio andrà in fumo. E non a caso ieri, al Palazzo di vetro è stato richiamato il rapporto sul debito dei paesi in via di sviluppo. Quello preparato da Bettino Craxi nel 1991, come delegato speciale dell’Onu, e approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite.

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