Economia

Donne e lavoro: partecipazione ancora sotto i livelli pre-Covid

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Gli oneri di cura allontanano le donne dal mercato del lavoro e come tale è cruciale il ruolo della politica nel raggiungimento della parità di genere. Così emerge dai risultati dell’abrdn Gender Equality Index, concepito per favorire le decisioni di investimento in base all’uguaglianza di genere di un Paese e al fatto che sia in via di miglioramento o meno. L’indice mette in evidenza le diverse ragioni della disuguaglianza tra i Paesi e indica come migliorare l’uguaglianza nei modi più appropriati per ogni singola nazione. L’indice classifica e assegna un punteggio a 29 Paesi sviluppati in base a un’ampia gamma di fattori economici, politici e di empowerment, rivelando informazioni sorprendenti sulla persistente disuguaglianza tra i sessi.

Politica cruciale nel raggiungimento della parità tra uomini e donne

Ebbene, i dati più recenti, relativi al periodo 2020-2021, rivelano che la partecipazione delle donne resta sotto il trend pre-pandemia.

Inoltre, le donne che non hanno abbandonato del tutto il mercato del lavoro hanno avuto maggiori probabilità di essere disoccupate rispetto alle controparti maschili. In genere, durante una recessione, i tassi di disoccupazione maschile aumentano più di quelli femminili, ma ciò non è avvenuto durante la pandemia: i tassi di disoccupazione femminile sono rimasti in media superiori a quelli degli uomini. I settori in cui le donne sono sovra-rappresentate hanno subito una maggiore perdita di posti di lavoro e, in base alla risposta politica adottata dai governi durante la pandemia, mediamente un numero maggiore di donne ha abbandonato la forza lavoro.

Le ore di lavoro delle donne sono diminuite più di quelle degli uomini durante l’ondata iniziale della pandemia – la media delle ore di lavoro delle donne nei Paesi Ocse è diminuita del 16,4% rispetto al 14,9% degli uomini. Oltre alle cause strutturali, l’aumento sproporzionato delle responsabilità di cura ha reso le donne più inclini a ridurre le ore di lavoro o ad abbandonare la forza lavoro: in Europa, le donne lavoratrici hanno il 50% di probabilità in più rispetto agli uomini di occuparsi regolarmente di parenti adulti malati, disabili o anziani.

Guardando ai singoli paesi, le economie scandinave continuano a mantenere le prime posizioni dell’indice. La Svezia è passata al primo posto, seguita dalla Danimarca, mentre la Norvegia è scivolata al terzo, a causa di una ripresa più lenta della partecipazione femminile dopo la pandemia. La posizione della Finlandia al quarto posto rimane invece invariata. Il cambiamento più significativo è quello dell’Islanda, scesa di 4 posizioni al 13° posto. Un risultato dovuto a fattori macro, come l’aumento del divario di disoccupazione, con un tasso di disoccupazione femminile più alto di quello maschile e un calo del tasso di partecipazione femminile. Il Giappone è scivolato in fondo alla classifica, scambiandosi di posto con la Corea, e registrando un calo nel punteggio di empowerment causato da un accesso limitato alle opportunità di lavoro e di business statali per le donne. Negli ultimi anni non ci sono stati altri cambiamenti per i paesi al di sotto della 23a posizione. Il Regno Unito è salito dal 22° al 21° posto, con la più grande variazione positiva nel punteggio relativo all’empowerment, dovuta alla combinazione di un migliore accesso alle opportunità di lavoro statali per le donne e di un maggiore empowerment politico.

E l’Italia? Il nostro paese rimane ancora molto in basso nell’indice, al 26° posto su 29 Paesi e sul fronte dell’occupazione, il tasso di partecipazione femminile è pari al 39% rispetto alla media del campione (55).