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DOLLARO: SE SCENDE TROPPO, SONO DAVVERO GUAI

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*Alfonso Tuor e’ il direttore del Corriere del Ticino, il piu’ importante quotidiano svizzero in lingua italiana. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) –
E adesso ci si mette pure il dollaro. Cresce infatti il timore che alla crisi finanziaria scatenata dai mutui ipotecari subprime americani, che non dà alcun cenno di essere prossima alla fine, e ai segnali premonitori di un forte rallentamento dell’economia statunitense, si aggiunga pure la caduta del biglietto verde. Giovedi’ 12 settembre il dollaro ha stabilito un nuovo minimo storico nei confronti dell’euro, superando quota 1,39, e molti prevedono che la discesa del suo tasso di cambio sia destinata a continuare, poiché è sempre più chiaro che il previsto taglio dei tassi di interesse che annuncerà martedì prossimo la Federal Reserve sarà il primo di una serie tesa a riportare la fiducia nel mercato monetario e ad attutire l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale.

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Dunque l’andamento del dollaro costituisce un rischio aggiuntivo di questa crisi. Per la banca centrale americana un indebolimento del biglietto verde può essere considerato benefico, poiché aiuta l’economia permettendo all’export Made in USA di essere più competitivo sui mercati mondiali, ma questo indebolimento deve essere graduale per evitare l’insorgere di una crisi di fiducia nei confronti del dollaro che vanificherebbe la manovra di ribasso del costo del denaro, dato che provocherebbe un’impennata dei tassi di mercato.

Ma l’indebolimento del dollaro introduce un rischio aggiuntivo per quelli che oggi vengono chiamati gli speculatori e che in realtà rispondono al nome di hedge funds e banche di investimento che si sono indebitati in yen giapponesi per poi investire questi capitali negli Stati Uniti o in altri paesi giocando sul differenziale dei tassi di interesse. La chiusura di queste posizioni, resa obbligatoria da una rapida ascesa dello yen, creerebbe ulteriori tensioni sui mercati finanziari. Infatti il rafforzamento della valuta giapponese, già registratosi negli scorsi giorni, non sembra aver ancora inciso in modo significativo in questo gioco finanziario che viene chiamato «carry trade».


Ma vi è di più. Il calo del dollaro può essere il meccanismo attraverso cui la crisi, che ha già colpito il settore finanziario europeo, si trasmette anche all’economia reale del Vecchio Continente. Infatti l’indebolimento del biglietto verde comporta anche il ribasso delle monete che fanno parte dell’area del dollaro (che sono principalmente quelle dei paesi asiatici). Ciò daneggerebbe l’export che è stato il motore della ripresa europea. Il vantaggio, dato dalla possibilità di acquistare a prezzi più convenienti le materie prime, sarebbe praticamente nullo, poiché i prezzi del petrolio, che ieri ha registrato un nuovo massimo storico (sopra quota $80 al barile), e delle altre materie prime – come è emerso negli ultimi tempi – tendono a salire e quindi a compensare il ribasso del biglietto verde.

Sarà dunque fondamentale capire se il gioco di prestigio cui è chiamata la Federal Reserve avrà successo. È comunque certo che questa crisi è destinata a mettere alla prova le teorie di coloro che sostengono che il finanziamento del deficit commerciale e degli squilibri nei conti con l’estero degli Stati Uniti non costituisce un problema in un mondo dove vi è la libertà di movimento dei capitali. A ben vedere, l’attuale crisi dei mutui ipotecari subprime non è che una manifestazione delle conseguenze che possono capitare ad un paese che vive al di sopra dei propri mezzi e l’attuale crisi finanziaria è la dimostrazione che gli effetti vengono sentiti anche nei paesi che hanno provveduto al loro finanziamento.

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