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DIETRO LA PARITA’ TRA EURO E DOLLARO

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La raggiunta parità fra dollaro ed euro, come si sa, non è dovuta alla forza di questo ma alla debolezza di quello.

L’afflusso di valute estere al mercato finanziario Usa, già rallentato dopo l’11 settembre, ha subito nelle ultime settimane un ulteriore salasso, in connessione ai dissesti di Enron e di WorldCom.

Si è constatato che i metodi contabili degli Stati Uniti, con i loro pignoleschi dettagli, presentano in realtà alcune grandi smagliature, che gettano ombra sulla credibilità dei profitti delle imprese quotate a Wall Street.

Ma se questa è la spiegazione del nuovo indebolimento del dollaro, che lo ha portato in tempi imprevisti alla pari con l’euro, ci si può chiedere perché siano le borse europee a registrare le maggiori cadute.

Se i flussi finanziari non vanno verso gli Usa perché non ci si fida dei conti delle compagnie americane, perché non aumentano i corsi delle società quotate a Francoforte, Parigi e Milano?

A quanto sembra i bilanci da noi in genere non sopravvalutano gli utili, anzi magari li sottovalutano, utilizzando tutte le possibili scappatoie per evitare le esose imposte vigenti.

Ma la spiegazione c’è. Dietro la parità dell’euro col dollaro non c’è un’economia europea a gonfie vele. Le prospettive finanziarie delle imprese europee, in settori chiave come quello telefonico e delle multi-utility, sono poco confortanti. Analogo discorso vale per alcune case automobilistiche.

La perdita di credibilità si è diffusa a macchia d’olio: Deustche Telekom, Vivendi, France Télécom, Fiat e così via.

Frattanto si è sgonfiata anche in Europa la bolla Internet. Il risparmio europeo, spaventato, non porta denaro né a Wall Street né alle Borse europee.

Invece negli Usa vi sono operatori più maturi che non fanno di ogni erba un fascio e cominciano a comperare, addentrandosi in analisi economiche di merito delle singole imprese, che alle nuove quotazioni di Borsa appaiono convenienti.

E ragionano anche sulla competitività della tecnologia Usa sui mercati internazionali, man mano che il dollaro torna a livelli di cambio corrispondenti al suo potere di acquisto, cioè alla regola aurea di equilibrio di lungo periodo dettata dall’economia reale.

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