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DAIMLERCHRYSLER – MAL DI MERCEDES

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Il Wall Street Journal di mercoledi’ riporta che il consiglio d’amministrazione della DaimlerChrysler si riunira’ venerdi per discutere, tra le altre, l’adozione di motori Mercedes per la nuova generazione di vetture Chrysler grandi (full-size), onde “distinguerle dalla concorrenza”.

Vuoi vedere che l’hanno capita ?

Il colosso DaimlerChrysler sta, come tutti sanno, attraversando una seria crisi, confermata dal corso del titolo azionario (che ha perso oltre la meta’ del suo valore nei due anni trascorsi dal matrimonio).

Alla luce delle recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato Jurgen Schrempp e del nuovo CEO Chrysler, Dieter Zetsche, la diagnosi sarebbe ovvia: risanare la filiale americana, ritenuta un gioiello di design, marketing savvy e bassi development costs, ma rivelatasi afflitta da costi elevati e modelli obsoleti.

E per di piu’ costretta a competere in un mercato in recessione e dalla concorrenza “brutale” (Zetsche, conferenza stampa al recente Salone di Detroit).

Altrettanto ovvia sarebbe la cura: spremere i fornitori, ridurre drasticamente il personale, chiudere le fabbriche obsolete e migliorare drasticamente la qualita’ ( e di conseguenza l’immagine) del prodotto Chrysler.

Ora, tutto questo e’ certamente vero, ma, oserei dire, non e’ tutto. Quel che e’ mancato nei primi due anni dalla fusione, e che continua a mancare, e’ una chiara e sistematica strategia a lungo termine per l’integrazione delle due marche.

Non c’era davvero bisogno della conferma di Schrempp (Intervista a Financial Times in gennaio) per capire che non di matrimonio si era trattato, bensi’ di semplice acquisizione di una filiale americana.

Ma proprio per questo ci si aspettava una accelerata politica di integrazione delle piattaforme e di sistematico sfruttamento delle sinergie e dell’aumentato buying power.

Che invece non c’e’ stata affatto, anzi: la Mercedes si e’ guardata bene, per esempio, dal “concedere” i propri motori diesel ai prodotti Jeep, che hanno disperatamente bisogno di un propulsore europeo per sfondare nel vecchio mondo.

E quando gli americani hanno presentato il prototipo della loro piccola Java, una sfiziosa utilitaria che avrebbe potuto competere testa a testa con le varie Golf o Astra nel basso-di-gamma, i tedeschi hanno risposto grazie ma no grazie, abbiamo gia’ la Smart e la classe A, che sono poi entrambe vetture di nicchia e non di massa come era pensata la Java.

Non solo: Stoccarda si e’ persino rifiutata di considerare l’integrazione delle reti commerciali, che sarebbe stata preziosa in Europa e soprattutto in Germania, dove la Chrysler si e’ conquistata un certo successo con I minivan e gli SUV, ma e’ afflitta da una pessima distribuzione.

E’ un errore che la Mercedes ha gia’ fatto: ricordate le faraoniche e costosissime concessionarie SMART contemporanee al lancio della microvettura ? Per poi ripiegare, dodici mesi dopo, sulla commercializzazione presso I saloni Mercedes, con grande gioia di chi aveva investito 4-5 miliardi di euro in ogni nuova sede.

Non solo: anche dove “il cliente non vede”, e cioe’ nell’infrastructure, la casa madre rilutta. Valga per tutti ancora l’esempio della Smart, il cui lancio ha coinciso con l’introduzione di un complesso e macchinoso sistema computerizzato di distribuzione dei ricambi esclusivo e assolutamente incompatibile con quello gia’ esistente e collaudato della Mercedes.

Alla base di queste decisioni si trova, a mio avviso, l’irriducibile convinzione da parte dei managers di Stoccarda di essere gli unici depositari di un know-how automobilistico assolutamente eccellente.

Con il logico corollario di una assoluta riluttanza a “sporcare” l’amato marchio della casa madre con quelli delle filiali straniere e persino delle proprie start-up.

E non e’soltanto un comportamento Mercedes: pensate al caso della BMW che, trovandosi sprovvista di un proprio SUV nel mercato emergente dei fuoristrada di lusso, decise anni fa di sviluppare contemporaneamente il nuovo Range Rover in Inghilterra e il nuovo BMW X5 negli USA.

Due prodotti direttamente concorrenti per prezzo e clientela, con praticamente nessuna parte in comune.

E’una strategia a mio avviso sbagliata. Per carita’, nessuno si augura l’estremo opposto, ovvero la normalizzazione estrema che ha portato, negli anni scorsi, alla lenta agonia di marchi famosi come Alfa e Lancia in casa Fiat e Citroen in casa Peugeot.

Ma un oculato sfruttamento delle proprie risorse tecniche e capacita’ organizzative, e una prudente ma sistematica razionalizzazione delle gamme, come fatto da Piech per I marchi VW, Audi, Skoda e Seat, rimane la strategia vincente in questa industria.

Prova ne sia il successo di Toyota, che, negli USA, riesce a vendere benissimo prodotti come la Camry sei cilindri, tipica berlina di famiglia di classe media, e la Lexus ES300, biglietto d’ingresso nella luxury class: eppure hanno in comune telaio, sospensioni, freni, motore e gran parte della componentistica.

Per la verita’ in casa DaimlerChrysler un primo timido segnale c’e’: pare che lo sviluppo della nuova Smart quattro porte verra’ affidato non alla Smart stessa bensi’ alla nuova consociata Mitsubishi, ritenuta esperta nella progettazione di microvetture.

Per poi essere prodotta non nella faraonica fabbrica Alsaziana della Smart ma dalla Nedcar, joint venture olandese della Mitsubishi. Ma una rondine non fa primavera…..

* Stefano Falconi e’ il direttore finanziario del Massachusetts Institute of Technology di Boston.