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Cura dimagrante per la Casta (ma con il trucco). La Grande Beffa

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di Thomas Mackinson, Il Fatto Quotidiano.

Sì al taglio dello stipendio dei deputati, ma la busta paga a fine mese sarà la stessa, non un euro di meno. Con ulteriore beffa finale, perché i frutti del (finto) risparmio andranno in un bel fondo che sarà a disposizione – guarda un po’ – degli stessi deputati. La riduzione di cui si parla è proprio quel taglio delle indennità che tiene banco da mesi tra mille polemiche, come segnale “in sintonia con il rigore che la grave crisi economica-finanziaria impone a tutti”.

Come è andata a finire? Alla fine di un lungo percorso costellato da promesse, altolà e dispute sugli importi (con tanto di commissione ad hoc) finalmente la Camera ha deciso: ieri ha detto sì al taglio dello stipendio degli onorevoli proposto dall’Ufficio di presidenza per 1.300 euro lordi, 700 euro netti.

Strette di mano, comunicati che di grande soddisfazione. “Ecco, noi siamo in linea con gli italiani”, è il motto. Ma sarà poi vero? No. Perché la decurtazione delle indennità fa uscire quei soldi dalla porta della Camera ma la riforma della previdenza li fa rientrare dalla finestra, paro paro. Non un euro di meno.

Così, a fine mese, la busta paga della casta è la stessa: 11.200 euro netti di indennità di base sui quali cumulare tutte altre voci. Nessun taglio, dunque. Il segreto è tutto nelle nuove norme previdenziali che si estendo ovviamente anche ai parlamentari, che sono scattate il primo gennaio scorso. Passando dal sistema retributivo a quello contributivo, i deputati si sarebbero visti lievitare la busta paga di circa 700 euro netti al mese, perché non è più loro chiesto di versare tutti e due i contributi che versavano prima: uno per il vitalizio (1.006 euro al mese) e uno previdenziale (784,14 euro al mese), oltre alla quota assistenziale (526,66 euro al mese). La riforma delle pensioni avrebbe toccato solo marginalmente i deputati in carica (un anno su 5 di legislatura), che avrebbero recuperato ben più di quello svantaggio con i 700 euro netti in più in busta paga.

Il passaggio dal sistema retributivo al contributivo, per farla breve, si sarebbe tradotto in 1300 euro al mese in più in busta paga, a causa dei differenti criteri di tassazione. Il maxi aumento, difficile da giustificare in questa congiuntura, è stato scongiurato introducendo una sforbiciata di pari importo. Più che di un taglio, si tratta dunque della sterilizzazione di un aumento. E poi la vera beffa finale: i tagli agli stipendi non torneranno agli italiani. Quelle somme andranno in un fondo a parte. Per cosa? Per gli stessi deputati. Lo anticipa il questore del Pdl, Antonio Mazzocchi, che in serata ha spiegato “questi 1.300 euro che verranno tagliati saranno accantonati in un fondo a tutela di eventuali ricorsi da parte dei deputati”. Insomma, quei soldi non usciranno mai da Montecitorio. Resta la magra consolazione della revisione del sistema dei rimborsi: finalmente dovranno essere motivati da ricevute. Ma anche qui c’è il trucco. Solo la metà di quelli presentati dovranno avere una giustificazione, l’altra no. Così si potrà decidere discrezionalmente cosa è opportuno farsi rimborsare e cosa invece è meglio lasciare senza indicazione della causale. “Un’operazione trasparenza non trasparente”, scrive il Sole24Ore di oggi in un corsivo.

Caustici, ovviamente, i commenti dei giornalisti cui il trucco non è sfuggito. “Se la notizia degli stipendi aumentati fosse uscita, li avrebbero linciati. Così hanno deciso non di tagliarsi lo stipendio, ma di rinunciare a quell’aumento. Provando a fare bella figura gratis davanti a tutti”, ragiona Franco Bechis sul suo blog. E sicuramente oggi risultano un po’ stonate le dichiarazioni di soddisfazione e gli annunci in pompa magna del corpus politico. A partire da quello di Gianfranco Fini che appena ricevuto il sì ha iniziato a cinguettare su Twitter “taglio del 10 per cento allo stipendio dei deputati presidente della Camera, vicepresidenti, questori e presidenti di commissione”. Un taglio, si è visto, a salve. E che dire di Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera, che ieri ha parlato di “sacrifici per essere credibili”. Oppure di Guido Crosetto che sulla scorta del (finto) taglio ha invocato nuove e analoghe misure contro i privilegi parlamentari. “Il 2012 deve iniziare all’insegna della sobrietà per tutti gli italiani, ma soprattutto per i politici”, ha invece affermato il vice presidente del Fli, Italo Bocchino.

Ma la storia non è finita. Perché oggi sarà un’altra giornata di tagli strombazzati e annunci roboanti. Perché oggi al Senato tocca pronunciarsi su decisioni simili a quelle della Camera con l’approvazione del superamento del sistema dei vitalizi e la riduzione del 10 per cento di tutte le indennità aggiuntive di funzione, del Consiglio di presidenza e delle presidenze di Commissione. “Inoltre, opereremo sulle indennità dei parlamentari, sempre con tagli analoghi a quelli adottati a Montecitorio”, annuncia il senatore del Pdl Angelo Maria Cicolani, questore di palazzo Madama. “In questo modo – assicura Cicolani – il Parlamento ristabilirà un rapporto di assoluta credibilità con gli elettori e daremo una risposta concreta a chi chiede di ridurre i costi della politica in tempo di crisi”. Bene, si è visto come

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Ansa (Francesca Chiri)
ROMA – E’ sfida tra le Camere per tagliare i costi della politica. Dopo Montecitorio, anche palazzo Madama ha infatti deciso di intervenire sui trattamenti economici e pensionistici dei parlamentari con il risultato che quella che doveva essere un’azione congiunta dei due rami del Parlamento per determinare condizioni di parità di trattamento per senatori e deputati, è risultata una gara senza esclusione di colpi tra le due Camere.

Complice lo zampino della Lega che non ha esitato a fare di tutto per mettere zizzania tra i due organi istituzionali. Il fatto è che dopo le polemiche sugli sbandierati ‘tagli’ alle indennità dei deputati, che hanno subito una decurtazione in busta paga che serve però solo a sterilizzare l’aumento che si sarebbe determinato per il diverso trattamento fiscale tra il vecchio vitalizio e il nuovo sistema contributivo, anche palazzo Madama ha approvato la stessa decisione per i senatori.

Ma a differenza della Camera, che ha deciso di accantonare le somme emerse in un fondo che molto probabilmente servirà a garantire Montecitorio da possibili ricorsi, il Senato ha scelto di utilizzare queste somme risparmiate per ridurre le spese in bilancio. Anche perché non si tratta di somme irrisorie: il taglio del 13% delle indennità dei senatori per mantenere ferma la busta paga di base a circa 5 mila euro netti al mese, farà infatti emergere ben 6 milioni di euro da mettere a risparmio.

Ma ad annunciare la novità, mentre era ancora in corso il Consiglio di Presidenza con Renato Schifani, è stato il questore della Lega, Paolo Franco. Il quale, non solo rivendica la paternità della proposta ma bolla l’accantonamento deciso dall’ufficio di Gianfranco Fini come un ‘fondo nero’.

Una valutazione definita un “colossale errore” dall’Ufficio di Presidenza di Montecitorio che si difende: “i risparmi derivanti dal mancato aumento dell’indennità parlamentare sono stati semplicemente accantonati in attesa di stabilirne la finalizzazione”.

Spiega anche il presidente Schifani: “quelle prese oggi sono decisioni assunte all’unanimita” dal Consiglio di Presidenza. Dove però la riunione è stata molto tesa, al punto da dover essere interrotta per un paio di volte a causa del malumore provocato dai colleghi della Lega.

“C’é stato un certo disappunto dei presenti perché le decisioni prese sono state assunte all’unanimità ma ‘anticipate’ da un gruppo durante lo svolgimento della seduta” spiega il segretario della Presidenza, il pidiellino Lucio Malan. Intanto, mentre il presidente del Senato annuncia la volontà di procedere entro febbraio alla revisione dei benefit per gli ex presidenti delle Camere, riducendo ad un arco temporale da stabilire i benefici (ufficio, staff di segreteria ed auto blu) che ora sono a vita, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, rilancia la proposta di ridurre il numero dei parlamentari.

“Per ridurre il costo complessivo del sistema politico sarebbe arrivato il momento di ridurre il numero dei parlamentari, perché – osserva – 945 parlamentari e centinaia e centinaia di consiglieri comunali e regionali finiscono per determinare un costo certamente rilevante”.
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Manager di Stato e deputati: con un’azione congiunta del governo da una parte e del Parlamento dall’altra arriva un’altra sforbiciata ai costi della politica.

L’esecutivo ha infatti approvato lo schema di provvedimento sui limiti massimi degli stipendi dei dipendenti pubblici, stabilendo che nessuno potrà superare il trattamento economico complessivo del primo Presidente della Corte di Cassazione. E questo senza deroghe per nessuno, come invece previsto nel decreto ‘Salva-Italia’.

L’obiettivo, avverte il premier, Mario Monti, è quello di “eliminare o quanto meno ridurre gli sprechi connessi alla gestione degli apparati amministrativi”. Con i tetto agli stipendi dei manager arriva però anche il taglio alle indennità dei vertici istituzionali: la Camera ha infatti deciso che taglierà del 10% l’indennità del Presidente Fini, dei vicepresidenti, dei questori, dei presidenti delle Commissioni parlamentari.

E la stessa misura si appresta a prendere domani anche il Senato, decidendo uno stesso taglio per il Presidente Schifani e le figure apicali di palazzo Madama. Sui tagli Camera e Senato hanno infatti deciso di procedere in parallelo, per evitare disparità nei trattamenti di deputati e senatori.

Allo stesso modo, quindi, viene deciso di avviare il nuovo regolamento che dal primo gennaio fa partire il calcolo della pensione dei parlamentari con il sistema contributivo, abbandonando il criterio del vitalizio. Un sistema che dovrà essere applicato anche ai dipendenti del Palazzo e che, per quanto riguarda Montecitorio comporterà un taglio apparente delle indennità di 1.300 euro.

Un escamotage per evitare che i tagli ai costi della politica, con il conseguente adeguamento del trattamento pensionistico dei parlamentari a quello del resto degli italiani, determinassero invece che una riduzione un aumento dell’assegno mensile del deputato che sarebbe emerso a causa del diverso trattamento fiscale dei versamenti contributivi. Nel caso dei vitalizi, infatti, la trattenuta veniva tassata mentre i versamenti contributivi sono esentasse.

Queste somme, in ogni caso, verranno depositate in un fondo a tutela di eventuali ricorsi. Alla Camera, e domani lo si farà al Senato, è stato inoltre deciso che potrà essere rimborsata in modo forfettario solo la metà dei contributi versati dal Parlamento per gli assistenti parlamentari.

L’altra metà dovrà essere giustificata: “entro un mese” annuncia inoltre il questore della Camera, Antonio Mazzocchi, presenteremo una proposta di legge per regolamentare la figura dei cosiddetti ‘portaborse’.

Quanto ai deputati, uno studio esaminato dall’Ufficio di Presidenza della Camera dovrebbe finalmente porre fine alla querelle sulla comparazione dei costi a livello europeo. I deputati italiani, con una media dell’indennità parlamentare mensile di circa 5.000 euro (escluse le diarie giornaliere) a fronte dei 5.035 euro dei colleghi francesi, dei 5.110,31 tedeschi e, addirittura, dei 6.200 euro dei parlamentari europei.

Una soluzione è infine stata individuata dal governo anche per quanto riguarda i dipendenti collocati fuori ruolo o in aspettativa retribuita presso altre pubbliche amministrazioni: le retribuzioni per l’incarico non potranno superare il 25% del loro trattamento economico fondamentale.