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Crisi banche, attenzione ai prodotti della fabbrica del pessimismo

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Crac delle banche, corsa agli sportelli, effetto domino o contagio, miliardi bruciati. Tutte locuzioni tipiche della comunicazione della moderna fabbrica del pessimismo, nata nel 2008 in occasione della crisi economico-finanziaria globale culminata nel fallimento di Lehman Brothers. E messa in moto dal carburante della digitalizzazione, i cui bracci operativi identificabili nei social media ne amplificano la portata degli effetti sulla società.

Il tam-tam di notizie che ha investito il settore bancario europeo nelle ultime ore ne è l’esempio concreto. Il nodo Credit Suisse è venuto al pettine nella giornata di mercoledì 15 marzo e, alla fine, dopo trattative che sono andate avanti per tutto il weekend, come era prevedibile e auspicabile il governo svizzero ha trovato la soluzione per mettere in sicurezza la seconda banca elvetica, attraverso la fusione con UBS. L’accordo per tutelare il sistema dal fallimento di Credit Suisse è stato raggiunto su queste basi:

  1. Ubs paga l’equivalente di 3 miliardi di franchi interamente in azioni, cioè ad un prezzo di 0,76 franchi per ogni azione Credit Suisse;
  2. La Banca Nazionale Svizzera mette a disposizione liquidità per un equivalente di 100 miliardi di franchi svizzeri;
  3. Il governo si impegna a coprire 9 miliardi di eventuali perdite che dovessero originarsi sugli asset di Credit Suisse;
  4. Tutti i bond AT1 di Credit Suisse, equivalenti a circa 16 miliardi di franchi, sono azzerati.

Quest’ultimo aspetto in particolare ha fatto molto discutere perché gli AT1 sono bank capital securities considerati comunque senior rispetto all’azione e avrebbero dunque dovuto concorrere al salvataggio solo dopo le azioni. Ma qui ci troviamo in una condizione in cui le azioni continuano ad avere un valore e i bond AT1 sono azzerati. Le autorità svizzere si sono appellate al cosiddetto Viability Event secondo cui, quando la banca entra in seria difficoltà, il regolatore può decidere a sua discrezione che la conversione o l’azzeramento sia l’unico modo per proteggere i depositanti e prevenire il contagio.

Per i social media media le banche sono in crisi sistemica

Ciò che è certo è che il panico regna ormai sovrano sulla maggior parte dei giornali e, di conseguenza, tra gli investitori che, a differenza di 15 anni fa, utilizzano prevalentemente i canal social per rimanere aggiornati in tempo reale sugli sviluppi della situazione. Quindi i social media stanno alimentando l’eco negativo intorno alla vicenda, vittime inconsapevoli del negative bias a cui sono esposti tutti coloro che operano sui mercati, cioè la naturale tendenza del nostro cervello a dare più importanza agli eventi negativi che a quelli positivi. Ma noi vogliamo raccontare anche l’altra faccia della medaglia. È vero che il fallimento delle banche americane e di Credit Suisse hanno sorpreso per la totale mancanza di un preavviso da parte dei regolatori, ma è anche vero che ad accelerare il tracollo degli istituti, sia americani che europeo, è intervenuta una crisi di fiducia. L’emotività ancora una volta la fa da padrone e si dimostra nemica degli investimenti.

Non è infatti difficile in situazioni come questa dimenticarsi presto che, proprio dopo la crisi del 2008, le autorità regolamentari hanno imposto requisiti di capitale più stringenti alle banche europee e, da questa prospettiva, il settore bancario europeo appare più virtuoso e solvibile rispetto a quello americano.

Patuelli (Abi) rassicura: “In Europa il sistema è più prudente”

Lo ha ribadito anche il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, durante un’intervista a “La Stampa”:

Il crollo di Crédit Suisse, come quello di SVB, sono lontani dalla realtà italiana ed europea. La Svizzera nello specifico non fa parte dell’Ue né dell’Unione bancaria europea, quindi è fuori dalle sue regole: è un caso unico e specifico. Hanno norme che per decenni o addirittura secoli hanno attratto liquidità da tutte le parti del mondo e di ogni genere. Ora questa strategia sta causando loro difficoltà, destabilizzando il sistema elvetico. Ma è un problema distinto e distante: è intrinseco all’essenza industriale delle banche svizzere e alla loro compagine azionaria che sono estranee al modello bancario dell’Ue”.

Inoltre, non bisogna dimenticare che, da ogni crisi, c’è chi ne trae vantaggio prendendo coraggio nello sfruttare le opportunità. E, anche qui, è sempre il numero uno dei banchieri italiani a fare chiarezza sul crollo delle banche europee in Borsa (Euro Stoxx Banks -14,68% nell’ultima settimana):

Il terremoto è anzitutto meno forte che in Svizzera. E comunque dovuto ai classici movimenti degli speculatori. Vendono azioni allo scoperto nel momento di panico per poi andarsi a ricoprire quando le acque si calmano, guadagnando nel frattempo sulla differenza di prezzo fra vendita e riacquisto”.

Interrogato dunque su un possibile attacco speculativo in corso sulle banche del Vecchio Continente, Patuelli ha risposto:

Premetto che non siamo ai minimi dell’ultimo biennio: le azioni bancarie erano salite in maniera formidabile negli ultimi mesi. Ora il crac di SVB prima e le tensioni su Credit Suisse poi hanno fornito l’occasione per innescare il meccanismo della speculazione”.

Secondo Patuelli non bisogna però sottovalutare la svalutazione dei bond nei bilanci delle banche conseguente ai rialzi dei tassi aggressivi da parte della BCE dopo anni di politiche monetarie accomodanti:

Le sofferenze sono calate molto negli ultimi anni, ma il miliardo aggiuntivo registrato nell’ultimo mese può essere un segnale di inversione di tendenza da non sottovalutare. Quanto al dato sui depositi, è legato soprattutto alla crescita dei tassi che spinge i risparmiatori a spostare la liquidità dal conto corrente, uno strumento di servizio, a prodotti di investimento che siano redditizi. È un fenomeno fisiologico e confermato dal successo delle ultime emissioni dei titoli di Stato italiani”.