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CRESCITA ECONOMICA FASULLA, FONDATA SUL DEBITO

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Per quel che riguarda i mercati valutari, l’ultimo meeting dei G7 si è risolto con una serie di affermazioni piuttosto vaghe. Si accenna alla rigidità dei cambi con evidente riferimento al cambio fisso tra il dollaro e la valuta cinese, ma si parla anche di volatilità indesiderabile per la crescita economica, con chiaro riferimento ai rischi di una caduta disordinata del dollaro soprattutto in relazione con l’euro.

In altre parole, evitando di affrontare esplicitamente un discorso che si fa sempre più delicato, si è espresso un concetto piuttosto chiaro che potremmo parafrasare nella seguente maniera: i meccanismi del libero mercato sono la fonte di quei necessari aggiustamenti delle dinamiche economiche; tuttavia, in questa loro funzione trovano un limite. Quando gli aggiustamenti si verificano in maniera troppo brusca e disordinata essi sono causa di perturbazioni pericolose e inaccettabili.

Al di là di queste geniali conclusioni, la cui attesa ha tenuto col fiato sospeso i mercati per quasi due settimane, c’è un elemento molto importante che si continua a trascurare, e cioè: l’adeguata, chiara e opportuna considerazione delle cause a monte di questi aggiustamenti disordinati e di questa eccessiva volatilità.

Omettere le cause reali di un determinato effetto, attribuirgli false cause, o invertire addirittura certe relazioni di causa effetto, sono difetti che hanno sempre accomunato l’operato di gran parte degli ingegneri economici e le analisi di molti economisti. Il motivo di tale confusione, molto spesso volontaria, è tanto semplice quanto inconfessabile: esponendo i giusti rapporti di causa effetto, sia la maggior parte degli interventi economici realizzati a livello pratico che la maggior parte degli schemetti grafici utilizzati a livello teorico si rivelano in tutta la loro inconsistenza e inutilità.

Si considerino a tal proposito due esempi.

I rischi deflazionistici. La propaganda dei banchieri centrali, in particolare di quello americano, in merito ai rischi deflazionistici che penderebbero sulle dinamiche economiche è un fenomeno che abbiamo cercato di spiegare e sfatare con diversi articoli, compresa la pubblicazione del saggio di J. G. Hülsmann, appositamente tradotto in italiano, dal titolo “Undici miti sulla deflazione”.

Dalle incorrette analisi economiche di Keynes fino alla ultima propaganda della FED, la deflazione temuta ha una caratterizzazione ben precisa. Essa non riguarda quel naturale fenomeno di discesa dei prezzi che in condizioni normali accompagna processi economici aventi carattere competitivo e:

• finalizzati a servire il consumatore del miglior prodotto al prezzo più basso possibile,

• messi in atto e costantemente realizzati dall’esercizio della funzione imprenditoriale,

• resi possibile in misura tanto maggiore dal miglioramento tecnologico dei processi produttivi,

riguarda invece quel fenomeno di discesa dei prezzi di alcuni asset finanziari o reali, nello specifico azioni, obbligazioni e immobili, che hanno raggiunto livelli eccessivi e insostenibili, creando un effetto ricchezza tanto comodo quanto illusorio e ingannevole. La causa ben precisa, omessa sempre e ben volentieri, della salita eccessiva dei prezzi di tali asset è quasi sempre una sola: l’inflazione creditizia.

Comprendendo sia la natura della deflazione temuta che le sue cause, si capisce bene come la soluzione adottata dalla banca centrale per combattere il fenomeno, definibile anche come scoppio naturale di una (o più) bolla speculativa, sia nei suoi stessi termini contraddittoria, imbarazzante, e circolare: si combatte la deflazione dovuta a inflazione creditizia con nuova inflazione creditizia.

La relazione prezzo quantità. Chiunque abbia studiato economia all’università è stato abituato sin dalle prime lezioni all’uso di schemetti grafici che economicamente non hanno alcun senso. La curva della domanda marshalliana che mostra il prezzo in funzione della quantità è frutto di un’analisi matematica, applicata ai processi economici, inconsistente ed errata. Eppure gli economisti neoclassici disegnano una curva inclinata negativamente spiegando che la quantità domandata diminuisce all’aumentare del prezzo e aumenta al diminuire del prezzo, senza considerare che, nella realtà quotidiana, è la stessa quantità domandata che porta alle variazioni di prezzo! Ovvero, il prezzo è salito perché è aumentata la quantità domandata oppure è sceso perché è diminuita la quantità domandata!

Essi invertono la relazione causa effetto con il risultato finale di disegnare curve di domanda e offerta che non spiegano e non dicono nulla se non quello che già è successo. In realtà, come spiega più correttamente l’economia austriaca, il problema del prezzo non si risolve incrociando ipotetiche e improbabili curve di domanda e offerta, ma attraverso l’analisi dell’intero processo di valorizzazione soggettiva, azione, intercambio e quindi formazione del prezzo.

Tornando quindi alla volatilità e ai movimenti disordinati che preoccupano gli uomini dei G7, costringendoli a uno stretto monitoraggio e ad eventuali azioni di intervento concertato, esse trovano cause nell’enorme liquidità creata dalla banche centrali al fine di favorire la stessa crescita economica.

Non è un caso che questa eccessiva volatilità, dopo avere abbandonato i mercati azionari ed essere transitata rapidamente sui mercati obbligazionari, sia finita ultimamente con il trovare sfogo sui mercati valutari. Sono prevalentemente le politiche monetarie delle banche centrali che rappresentano la causa primaria, benché indiretta, degli stessi problemi che si vorrebbe cercare di contenere.

Politiche altamente inflazionistiche che da un lato hanno come effetto lo sviluppo di una serie di bolle speculative, accompagnate necessariamente da movimenti erratici, bruschi, indesiderabili, e dall’altra un pericoloso e illusorio effetto traino su economie sempre più drogate, ricche di squilibri nel lungo termine insostenibili.

Come i movimenti disordinati che accompagnano certe variabili finanziarie, anche l’attuale crescita economica è quindi figlia della stessa madre. Nasce, è nutrita ed è legata strettamente all’enorme liquidità alimentata dalle banche centrali. Trovando origine in quelle stesse cause la crescita economica attuale è per sua stessa natura insostenibile, esagerata, per certi versi anche finta. E’ una crisi economica mascherata da crescita economica. Come dice qualcuno: una frode.

Questa è la verità ultima che non viene mai discussa apertamente e che non si ha il coraggio di affrontare. Nello scoprire la causa originaria di tale pericolosa volatilità il ragionamento intero portato avanti dal G7 cadrebbe infatti nella stessa imbarazzante circolarità che caratterizza gli interventi per contrastare i rischi deflazionistici in corso, così come l’utilizzo teorico degli schemetti grafici utilizzati dagli economisti neoclassici.

Vediamo le parole contenute nella dichiarazione del G7:

“Ai fini della crescita economica, volatilità eccessiva e movimenti disordinati nei tassi di cambio sono ritenuti indesiderabili. Continuiamo a monitorare i mercati da vicino e a cooperare nella maniera più appropriata”.

Cooperazione Monetaria Internazionale. Ovvero banche centrali impegnate, attraverso interventi verbali o concreti, a mettere un freno a quei movimenti eccessivi che trovano causa e sono nutriti dalle loro stesse politiche monetarie. Indubbiamente un processo circolare e nell’insieme una situazione piuttosto imbarazzante.

Eppure, in quella che Bill Gross di Pimco definisce finance-based economy, tutto il processo ha oggi più che mai un unico fine. Ce lo spiega senza tanti giri di parole Mises a pagina 476 dell’Azione Umana, in un paragrafo intitolato proprio “Cooperazione Monetaria Internazionale”. Mises scrive:

“Ciò che i governi chiamano cooperazione monetaria internazionale altro non è che azione concertata per favorire l’espansione del credito”.

Una espansione del credito che oramai non ha precedenti storici e che all’inizio di questo nuovo millennio ha portato il sistema economico mondiale ad essere caratterizzato non più da una bolla finanziaria localizzata in un area, in un particolare settore economico, o in un indice particolare di borsa, ma da una serie di bolle finanziarie tutte strettamente correlate tra di loro.

In questa situazione, davvero indesiderabile e inaccettabile, uno dei fattori che sta assumendo un ruolo sempre più destabilizzante è l’accumulazione di dollari da parte dei paesi stranieri. Condizione necessaria per permettere la continua espansione del credito che proprio nel dollaro e nell’economia americana trova il suo primario impulso.

Si consideri la seguente dinamica: nel 1991 il resto del mondo è giunto ad accumulare 1 trilione di dollari in riserve. Quindi alle soglie del 2000, in meno di nove anni, ha accumulato un altro trilione di dollari. E negli ultimi quattro anni ne è stato aggiunto un terzo. La Banca del Giappone da sola è responsabile per l’accumulazione di oltre 250 miliardi di dollari in meno di un anno, di cui circa settanta nel solo mese di gennaio 2004.

Sostenuti da questa accumulazione concertata e irresponsabile di dollari da parte del resto del mondo, gli Usa sono giunti, finora senza grossi traumi, a un rapporto tra debito e GDP di oltre il 300%. Il più alto di tutti i tempi.

Bill Gross a tal proposito scrive: “ oramai viviamo in una economia dipendente dal credito. E quindi? Perché non continuare. Finora tutto bene. Che c’è di sbagliato nello spingersi fino a un rapporto del 400% o del 500%. Cosa c’è di sbagliato nel giungere, nel caso fosse necessario, a distribuire credito gettandolo dagli elicotteri come ha suggerito il buon (buon? NdT) Bernanke? Bene, lasciatemi dire cosa c’è di sbagliato. I livelli di debito e i rapporti di indebitamento hanno dei limiti. Quando e se i tassi di interesse ricominciassero a salire, i costi per sostenere una economia basata sull’accelerazione del debito e del credito finirebbero col mordere la mano del suo padrone”.

L’unica vera causa delle instabilità che preoccupano gli uomini dei G7 va ritrovata quindi nel più imponente processo inflazionistico di tutti i tempi. Nel Grande Esperimento Economico. L’unica alternativa rimasta alle banche centrali per sostenere artificialmente crescite economiche insostenibili. Un’alternativa, tuttavia, dagli esiti necessariamente indesiderati. Al punto di arrivo del processo inflazionistico, ovvero una volta raggiunto il limite ultimo di una accelerazione oltre la quale non è possibile andare, il sistema è destinato ad afflosciarsi su se stesso mordendo, proprio come dice Bill Gross, le mani ai suoi stessi padroni.

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