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Costi aggiuntivi su clienti, grossa banca australiana nei guai

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Catherine Brenner, presidente della principale società di gestione del risparmio retail in Australia, AMP, ha rassegnato le proprie dimissioni in seguito alle evidenze di raggiri perpetrate dall’istituto ai danni della clientela. Nello specifico, la compagnia finanziaria, che ha in gestione 150 miliardi di dollari, avrebbe fatto pagare consulenze finanziarie mai erogate e tentato di fuorviare l’autorità di sorveglianza (l’Australian Securities and Investment Commission). In tutto è stato stimato che queste condotte abbiano coinvolto 15.700 clienti tra il 2009 e il 2016.
Venerdì scorso le testimonianze su questa vicenda erano state raccolte da una commissione d’inchiesta del più elevato livello (una Royal Commission). Tale commissione era stata avviata lo scorso dicembre su iniziativa del premier australiano Malcolm Turnbull al fine di ristabilire la fiducia nel settore finanziario del Paese. Sulla spinta di queste accuse il titolo di AMP è crollato in borsa dai 4,76 del 16 aprile agli attuali 4,04 AUD.
“Sono profondamente delusa dalle questioni venute fuori e sono particolarmente preoccupata per l’impatto che hanno avuto sui nostri clienti, dipendenti, consulenti e azionisti”, ha dichiarato Brenner nella dichiarazione aziendale che annuncia le sue dimissioni. Il premier australiano ha affermato che il passo indietro dell’ormai ex presidente è stata la cosa giusta. Dieci giorni prima aveva deciso di dimettersi anche il ceo di AMP, Craig Meller.

 

La pratica del “fees for no service”, ovvero dei pagamenti richiesti dalla banca senza aver fornito alcun servizio, è stata confessata, sempre nell’ambito delle indagini pubbliche, anche da altri istituti australiani: Westpac e Commonwealth Bank. La conclusione dei lavori della Royal Commission è attesa per il febbraio 2019.