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Coronavirus, Gimbe: misure di distanziamento sociale hanno funzionato a metà

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Interpretare i numeri in una prospettiva temporale sufficientemente ampia è un aspetto imprescindibile nell’analisi dell’emergenza coronavirus in Italia. I risultati delle misure di distanziamento sociale, osservando i dati con questo approccio, si sono rivelati consistenti nella riduzione dei ricoveri in terapia intensiva (terzo grafico in basso).
Questo aspetto, pur fondamentale per mantenere il sistema sanitario nelle condizioni di curare chi ne ha bisogno, si affianca a trend assai meno rassicuranti. I contagi, infatti, non rallentano quanto si sarebbe potuto sperare. Lo ha segnalato la Fondazione non profit Gimbe, elaborando una serie di grafici che è possibile consultare di seguito.

“L’efficacia delle misure di distanziamento sociale sul contenimento dell’epidemia dipende da tre fattori: tempestività, intensità e aderenza della popolazione. Di conseguenza, per valutare gli effetti dei decreti #IoRestoACasa e Chiudi Italia, bisogna anzitutto essere consapevoli che siamo partiti in ritardo, che il lockdown non è stato affatto totale e che l’aderenza della popolazione è stata buona, ma non eccellente, a giudicare dal numero delle sanzioni elevate nel corso dei controlli”, ha commentato il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta.

La riduzione dei nuovi casi di coronavirus, rivelatasi inferiore alle previsioni (primo grafico) secondo la Gimbe può essere spiegata dai seguenti fattori:

  • Ridotta efficacia delle misure di distanziamento sociale: conseguente a differenti motivazioni in parte non prevenibili (ruolo dei soggetti asintomatici), in parte a carenze sanitarie (insufficiente tracciatura dei contatti, isolamento domiciliare inadeguato
  • Misure inadeguate sui luoghi di lavoro e negli spazi chiusi, inclusi mezzi di trasporto, e a comportamenti individuali impropri.

“In tutti i contesti regionali e locali dove il controllo dei nuovi casi risulta inadeguato” e per le casistiche sopra indicate dovrebbero essere adottate misure di monitoraggio “al fine di mettere in atto le opportune contromisure”.

Fra queste la Gimbe suggerisce “l’identificazione di casi in sottogruppi di popolazione non adeguatamente esplorati” in particolare “tra gli operatori sanitari, gli ospiti di residenze per anziani e case di riposo, i detenuti negli istituti penitenziari”. Inoltre viene sollecitata “una tracciatura dei contatti più efficace e del crescente numero di casi oligo/asintomatici identificati sul territorio”.

“Nonostante il contagioso entusiasmo per l’avvio della ‘fase 2’ serve la massima prudenza”, ha concluso il presidente della Gimbe, “se oggi, infatti, ospedali e terapie intensive iniziano a “respirare”, i numeri confermano che la curva dei contagi non è affatto sotto controllo ed il rischio di una nuova impennata dei casi è sempre in agguato”.