NEW YORK (WSI) – In un’iniziativa che consentirebbe allo stato di riguadagnare sovranità monetaria, senza uscire dall’euro, un gruppo di studiosi propone di ricorrere alla moneta fiscale. Si romperebbe così il monopolio delle banche private nell’emissione di denaro e l’Italia potrebbe mettersi alle spalle l’austerità senza dover però abbandonare la monetaa unica, nel pieno rispetto di tutti i vincoli imposti dalle autorità europee.
Senza violare gli accordi presi in precedenza con l’Europa, gli autori del libro edito da Micromega in versione digitale (ebook), Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, propongono al governo italiano di iniziare a emettere Certificati di Credito Fiscale, nella misura di un centinaio di miliardi il primo anno e di 200 miliardi l’anno successivo.
Si tratta di una forma di “denaro potenziale”. Come spiega Luciano Gallino nella prefazione al testo, “i CCF sono distribuiti gratuitamente a vari gruppi di popolazione, a cominciare dai disoccupati o dai giovani in cerca di prima occupazione, e ad imprese che si impegnino ad assumere nuovo personale per realizzare (piccole ma numerose) opere pubbliche. Trascorsi due anni dall’emissione, i CCF possono venire utilizzati per pagare qualsiasi tipo di imposte o tasse dovute allo stato, a regioni o comuni”.
Ma la chiave sta in quello che succede dopo. “Sin dal momento della loro emissione essi possono venire venduti a terzi, utilizzati come mezzo di pagamento, versati a un creditore a titolo di collaterali e altro. La loro convertibilità in denaro contante o moneta elettronica è istantanea”. Ecco spiegato allora come possono essere utilizzati al posto di euro.
“Il risultato dell’operazione è che nell’economia verrebbero immessi a regime 200 miliardi di denaro potenziale che può diventare in breve denaro fresco, destinato non alla speculazione o ad accrescere l’accumulazione di patrimoni privati, bensì a sostenere in modo mirato e selettivo il soddisfacimento di quelli che Keynes chiamava ‘bisogni assoluti’ da parte di strati di popolazione in difficoltà, e di piccole imprese”.
Il fatto che possa essere erogato gratuitamente dallo Stato è solo uno dei tanti vantaggi che comporta il “denaro fiscale”. Prima di tutto la moneta potenziale costituita dai CCF ha un valore che “non è soggetto ad alcun rischio di svalutazione sul mercato dei titoli, sia quello borsistico che quello OTC (dove si scambiano i titoli “al banco”)”.
Il denaro rappresentato dai CCF è inoltre “denaro legalmente ‘pieno’ (nel senso che si applica all’espressione “legal tender”) poiché essi vengono per definizione accettati per pagare le tasse allo stato.
In terzo luogo i “CCF rappresentano una prima riconquista da parte dello stato (modesta, ma l’importante è cominciare) del potere di creare denaro a fronte del potere assoluto che finora hanno detenuto le banche private. Questo non sarebbe soltanto un fatto tecnico: sarebbe un evento politico di prima grandezza”. Sarebbe, appunto, una rottura con il monopolio bancario nel settore.
Le monete fiscali costituirebbero poi, dice sempre Gallino, un “primo passo indolore in direzione di una riforma incisiva del sistema finanziario in essere, resa indispensabile dai suoi gravi difetti strutturali”.
Infine, “diversamente dai comuni crediti bancari, per i quali la destinazione del credito erogato da parte del debitore è quasi sempre indifferente, fatta salva (e non sempre) la solvibilità di quest’ultimo, i CCF verrebbero emessi per finanziare specifici progetti di utilità collettiva”.
La proposta dei CCF è stata già studiata ed esposta in precedenza. A livello teorico tiene conto degli studi in materia del Levy Institute, uno dei più noti dipartimenti di economia degli Stati Uniti, e del gruppo di New Economic Perspectives, in specie i lavori di Warren Mosler e L. Randall Wray, che ha studiato l’introduzione in Argentina, ai tempi della crisi, di titoli per certi aspetti simili ai CCF.
A febbraio di quest’anno alcuni studiosi del Levy Institute hanno suggerito al ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, di emettere una buona dose dei precursori dei certificati fiscali, i TAN, per fronteggiare la carenza di liquidità che affligge il paese. Anche l’illustre editorialista del “Financial Times”, Wofgang Munchau, ha caldeggiato l’idea.
Fonte: Micromega
(DaC)