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COME SI POSSONO CONCILIARE BORSE IN RIALZO E PIL STRIMINZITI?

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi dell’allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

(WSI) – Se è lecita la festa del Rallentamento (della caduta), lo saranno ancora di più la festa della Stabilità e quella della Ripresina. Se la festa del Rallentamento in corso da otto settimane fa un altro piccolo sforzo le borse si riportano al livello di inizio anno.

Se la festa del Rallentamento si salda senza soluzione di continuità con la festa della Stabilità (che quest’anno cadrà d’estate) e questa a sua volta prosegue in fase rave nel party della Ripresina le borse chiudono il 2009 in forte rialzo.

Il Pil mondiale, però, a fine anno sarà più piccolo in quasi tutto il mondo rispetto a inizio 2009, anche se il secondo semestre avrà segno positivo.
Si possono avere insieme un Pil rimpicciolito e borse in forte rialzo? Tutto è possibile, naturalmente, ma sembra più ragionevole ipotizzare che il recupero delle borse si fermi a un 10-15 per cento dicembre su gennaio.

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Perché un rialzo se il Pil va nel senso opposto? Per due motivi. Il primo è il venire meno di quell’enorme premio per l’incertezza richiesto dai mercati nei mesi più bui della crisi. Ci si dimentica in fretta delle cose, ma una ventina di settimane si riteneva possibile non rivedere mai più i soldi depositati in banca. Una quindicina di settimane fa si pensava impossibile riuscire a rifinanziare l’enorme montagna di debiti in scadenza delle banche e delle grandi imprese. Una decina di settimane fa si discuteva del possibile tracollo del sistema, del default dell’Est Europeo e di metà degli stati dell’Europa occidentale.

Oggi non tutto è risolto, molte cose sono anche più fragili di come appaiono (con il perfido Buiter che insinua che gli swap valutari tra banche centrali d’inizio aprile sono serviti a salvare dall’insolvenza il Regno Unito), ma i mercati adesso sono angosciati per l’inflazione prossima ventura.

Come dire che chi si vedeva sul punto di morire di fame è ora preoccupatissimo di doversi mettere a dieta. E chiede ansiosamente titoli rigorosamente indicizzati all’inflazione anche su scadenze di 12-18 mesi, quando dell’inflazione non si vedrà neanche l’ombra e quando i trentennali se ne stanno tranquillissimi con i loro alti rendimenti e il sostegno esplicito delle banche centrali.

C’è angoscia e angoscia, insomma. Quella di oggi è un’angoscia poco angosciosa.
La seconda ragione per cui borse in rialzo sono conciliabili con un Pil più piccolo è che gli utili (o quanto meno i margini) potrebbero non essere così orribili come si era pensato.

Si dice sempre che i tagli di occupazione, di produzione, di scorte e di investimenti da parte delle imprese (così come i tagli di consumi decisi dai privati) hanno conseguenze drammatiche a livello di sistema. Si è però detto di meno che questi tagli, per le singole imprese, significano difesa dei margini. Ricordiamo quello che successe dopo l’11 settembre. Le imprese, sotto shock per il terribile nuovo mondo che sembrava profilarsi, cessarono istantaneamente di assumere e di investire e licenziarono parecchio. La produttività esplose e i margini si difesero meglio che nelle crisi precedenti. Quando iniziò la ripresa, le imprese assunsero pochissimo. Fu la seconda jobless recovery (la prima fu quella che costò la rielezione a Bush padre e la terza sarà la prossima). Il risultato della ripresa senza nuovi posti di lavoro fu un nuovo massimo dei margini di profitto.

Negli anni del dopobolla, 2001 e 2002, era diventato un luogo comune dire che mai più si sarebbero rivisti gli alti margini di fine anni Novanta (così come qualsiasi persona civile doveva affermare che le borse non avrebbero rivisto i massimi per moltissimi anni). In realtà i margini negli anni successivi risalirono verso i massimi molto velocemente.

Nella crisi attuale la reazione delle imprese è stata ancora più violenta che all’indomani dell’11 settembre. Il motivo non è stato filosofico (l’adozione generalizzata del divieto di produrre per il magazzino), ma il fatto terribilmente concreto che qualunque direttore finanziario abbia provato in questi mesi a chiedere alle banche qualche soldo in più per finanziare le scorte si è sentito rispondere che i soldi, semmai, doveva restituirli lui. Il credit crunch ha costretto le imprese a una reazione fulminea che da una parte ha fatto precipitare la crisi economica, ma dall’altra ha salvato il conto economico.

Molti economisti e strategist sostengono che il fatto che i margini siano oggi più alti rispetto alla media di lungo periodo (in tempi di crisi sono simili ai magini in tempi di espansione di gran parte del dopoguerra) significa che non potranno che scendere. A noi sembra invece che, con punti di pareggio abbassati drasticamente grazie alle ristrutturazioni, alla prossima ripresa potremo vedere di nuovo, tra le imprese sopravissute alla crisi, livelli di marginalità molto buoni.

Molti dicono che senza leva questo sarà impossibile. Dopo tutto, sostengono, il miglioramento dei margini degli ultimi 15 anni non è stato dovuto alla particolare abilità dei manager ma al banale fatto che hanno usato più leva. Senza leva non c’è Mba a Harvard che tenga e i grandi manager tornano comuni mortali.

Ora non è vero che le grandi imprese tradizionali abbiano tutte usato leve lunghissime. Qualcuna l’ha fatto, molte no. Guardando ai colossi per capitalizzazione (nella tecnologia e nell’energia, ad esempio) si scopre che quasi tutti hanno sempre tenuto molta cassa, non molto debito. Quanti bond Microsoft ci sono in giro?

Chi ha usato e abusato della leva del debito sono come è ben noto le banche. Da qui il discorso che ogni persona per bene deve fare di questi tempi e cioè che il Roe delle banche mai e poi mai ritornerà ai livelli gonfiati dagli steroidi degli anni scorsi.
In realtà il caso vuole che tra le grandi banche che hanno già riportato gli utili ve ne siano di quelle che hanno oggi una leva ridotta a un terzo rispetto agli anni scorsi e un Roe di 14, non lontano da quello dei tempi d’oro. Volendo si può.

Venendo ora ai limiti che conterranno il rialzo di borsa in proporzioni contenute, il primo, già citato, è il Pil. La festa del Rallentamento celebra il passaggio dal meno 5 per cento annualizzato del primo trimestre (America ed Europa, in Giappone è molto peggio) al meno 3 del secondo. La festa della Stabilità celebrerà la crescita zero del terzo trimestre e la festa della Ripresina canterà il più uno o più due del quarto.

Di per sé non è materiele euforizzante. Le feste, quindi, dovranno essere intervallate tra loro con periodi di consolidamento. Con un Pil a meno tre la festa del Rallentamento non può proseguire a lungo. Potremo vedere i mercati restare per qualche tempo ai livelli attuali, ma il flusso di dati (come le vendite al dettaglio di ieri o la produzione industriale di oggi) riporterà tutti con i piedi per terra e prima o poi produrrà una correzione. Molto probabilmente non vedremo più nuovi minimi e nemmeno testeremo quelli di marzo. Un ritracciamento di un terzo del rally di queste settimane potrebbe essere sufficiente.

A fine anno, poi, gli ardori saranno contenuti da un 2010 che partirà più debole dell’ultima fase del 2009. Lo stimolo fiscale, infatti, a un certo punto verrà meno. C’è però una speranza. Nuovi ulteriori pacchetti fiscali potrebbero essere varati in autunno a valere sull’anno prossimo. Non sarà facile, in un clima di ripresina, convincere opinioni pubbliche e classi politiche già oggi spaventate dai disavanzi pubblici in crescita veloce a decidere altre spese, ma da qui ad allora il vento populista (niente soldi ai banchieri e alle imprese) e virtuoso (torniamo al rigore fiscale) sarà forse calato.

Operativamente continuiamo a confidare nella possibilità di comprare azioni a un prezzo più basso dell’attuale. Ma non molto più basso.

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