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CAVALIERE CI STUPISCA
(SE PUO’)

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(WSI) – Un voto chiaro e una vittoria netta sono i requisiti primi ed essenziali della governabilità. Sotto questo profilo, Silvio Berlusconi ha chiesto e ottenuto il massimo: la risposta degli italiani e l’entità del successo del Pdl e della Lega tagliano la strada a ogni considerazione volta a depotenziare il risultato politico uscito dalle urne.


Berlusconi, dunque, può accingersi a governare sapendo che ha tutti i numeri per farlo. Ma non solo. Il prossimo premier ha di fronte a sé l’occasione, storica, per modernizzare il Paese trascinandolo fuori dalle secche di una crisi profonda (le cui origini sono lontane nel tempo e datano ben prima dell’ultimo Governo Prodi e dello stesso secondo Governo Berlusconi del 2001) che l’hanno infiacchito e sfilacciato.

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La scommessa, dato anche il difficilissimo contesto internazionale attuale, non consiste nel riportare la nave-Italia su una linea di galleggiamento. No, la sfida consiste piuttosto nel riprendere una corsa interrotta da troppo tempo mobilitando tutte le energie utili e avendo ben chiaro che la sesta economia del mondo è già scivolata al 20° posto, in termini di Pil pro capite, ha il secondo debito pubblico peggiore del pianeta ed è il fanalino di coda per crescita del Pil negli ultimi anni tra i trenta Paesi più industrializzati.

In questo senso, portando in qualche modo a compimento una “rivoluzione” scattata nel 1994, subito congelata e non completata nel quinquennio 2001-2006, Berlusconi potrebbe, anzi dovrebbe, stupire tutti. Chiarendo subito agli italiani cosa va fatto oggi e cosa domani o dopodomani, e calibrando l’attuazione del programma in relazione all’obiettivo fondamentale, di svolta radicale e non episodica, per un Paese affamato di futuro e con i motori inceppati.

Sono state confermate alcune delle misure annunciate e attese.
La prima riunione del Consiglio dei ministri si terrà a Napoli, per dare il segno che l’emergenza rifiuti è un’assoluta priorità nazionale; si procederà subito all’abolizione definitiva dell’Ici sulla prima casa; saranno detassati gli straordinari e i premi per la produttività; ci sarà il bonus-bebè di 1000 mille euro. Misure che indicano una direzione di marcia nel solco degli impegni presi con gli elettori ma che sarebbe sbagliato scambiare per la svolta capace di tirarci fuori dalle secche.

È evidente che non si può fare tutto e subito, ed è un fatto che lo stesso programma di Pdl e Lega sia stato scritto sulla scia di un apprezzabile realismo di fondo, lo stesso che ha contraddistinto il ministro in pectore dell’Economia Giulio Tremonti nell’analisi sulla crisi finanziaria americana. Per questo la scansione precisa degli impegni e, se necessario, anche la rinuncia o il rinvio (dichiarati) a qualche promessa fatta in vista delle elezioni potrebbero servire ad alzare, e non abbassare, il tiro della scommessa riformista che attende Berlusconi.

I fuochi della fase finale della campagna elettorale sono alle spalle. Tra un mese avremo un Governo nel pieno delle funzioni. L’agenda politica è colma di lodevoli impegni, a partire dal confronto aperto con l’opposizione sui temi istituzionali importanti come riduzione dei parlamentari, poteri del premier, superamento del bicameralismo perfetto, avvio del federalismo fiscale – processo inevitabile – sul quale la Lega ha piantato la sua bandiera.

D’altra parte l’economia è ferma, l’inflazione rialza la testa, la pressione fiscale su famiglie e imprese è troppo elevata, il potere d’acquisto di pensioni e salari è eroso, la produttività del sistema è bassa, molte infrastrutture sono di fatto bloccate. La recessione degli Usa e l’Europa non ci faranno sconti e, semmai, restringeranno il perimetro delle scelte di politica economica. Per ripartire e insieme cominciare la svolta vera, una buona dose di pragmatismo è la ricetta d’attacco. E se pragmatismo significa prospettare, in piena trasparenza, anche misure dure, impopolari (come i veri tagli alla spesa pubblica in attesa da anni), ma nel tempo capaci di riaccendere stabilmente la fiducia interna ed esterna (quella degli investitori internazionali) allora ben venga un piano d’azione in tutti i sensi asciutto.

Berlusconi ha ricevuto dagli elettori un mandato pieno. Ha alle spalle una maggioranza solida e davanti un’opposizione, quella di Pd e Udc, che può sfidare sul terreno delle riforme. Può insistere sul completamento della legge Biagi, aprendo una volta per tutte la pagina degli ammortizzatori sociali: come potrebbe il Pd di Veltroni e Ichino non rispondere positivamente? Può procedere senza indugio alle liberalizzazioni più utili e scomode politicamente, a cominciare dai servizi pubblici locali. Può tagliare le Province, come da programma. Può cancellare in pochissimo tempo quell’odioso gravame improprio (14 miliardi di euro l’anno) che a titolo di adempimenti burocratici pesa su 4,4 milioni di piccole e medie imprese. Può ordinare una veloce due diligence sulla finanza pubblica e, accertata l’esistenza di un eventuale extragettito da 4 o più miliardi, decidere di non spenderlo tutto e subito.

Insomma non mancano i modi per stupire. Sui terreni dell’istruzione, della formazione, delle tecnologie e conoscenze informatiche, l’Italia viaggia sotto la soglia della civiltà moderna. In area Ocse siamo secondi solo alla Turchia con il 10,9% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni che non vanno a scuola né lavorano. Merito, competenza e responsabilità sono oggetti spesso sconosciuti. Resta irrisolto, al fondo, il nodo del sistema pensionistico. Nei campi dell’energia abbiamo collezionato ritardi paurosi. La cultura del risultato, pilastro dell’agglomerato sociale (piccole imprese, lavoratori autonomi e professionisti) che al Nord sono l’asse portante di Pdl e Lega, è estranea, fatte le debite eccezioni, alla pubblica amministrazione.

Sì, sono materie difficili da prendere di petto, e politicamente i risultati arrivano nel tempo. Per questo le vere carte riformiste vanno calate subito, a inizio legislatura. Dopo, come sempre è accaduto, non ci sarà l’occasione di farlo.

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