Società

CARO BERLUSCONI, DOV’E’ LA SUA LETTERA?

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Sono trascorsi oltre due mesi da quando il nostro primo ministro apparve sullo schermo delle tv nazionali per spiegarci l’ineludibilità della riforma delle pensioni. Da lì a poco venne anche annunciata una lettera a tutti gli italiani nella quale il presidente Silvio Berlusconi avrebbe spiegato le ragioni di quella decisione. Da allora, nessuno di noi ha ricevuto la missiva da Palazzo Chigi e la riforma della previdenza è rimasta dov’era, praticamente congelata presso la Commissione Lavoro del Senato.

Nel frattempo, però, non si può dire che non sia accaduto proprio nulla. Innanzitutto il governo italiano, per bocca del suo ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha fatto sapere ai nostri partner europei che intende intervenire strutturalmente sulla dinamica della spesa pensionistica, obiettivo che viene ribadito nel recente aggiornamento del Programma di stabilità inviato a Bruxelles. E, proprio mentre la Commissione di Romano Prodi riceveva il documento di Tremonti, le tre grandi confederazioni sindacali italiane, Cgil, Cisl e Uil, riuscivano a far sfilare per le vie del centro di Roma centinaia di migliaia di persone, tanto da far esclamare al non certo antigovernativo Corriere della sera: «Chapeau!».

Il successo della manifestazione sindacale di sabato finisce così per rafforzare la posizione del governo italiano a Bruxelles: se la riforma, ancora allo stato virtuale, suscita tale opposizione, vuol dire che è una riforma vera.
Sempre a Bruxelles – per restare tra i fatti accaduti da quel 29 settembre a reti unificate – l’Ecofin, in contrapposizione con la Commissione, ha deciso di interpretare in maniera più elastica i vincoli del Patto di stabilità rendendo così meno urgente la riforma delle pensioni. Nessuno lo dice, ma tutti lo pensano. A cominciare dai leader sindacali, i quali sono stati rimessi al centro del ring proprio dall’atteggiamento temporeggiatore dell’esecutivo.

Non a caso, una volta usciti dall’angolo, Epifani e Pezzotta si sono (quasi) scambiati tatticamente i ruoli con il primo che si dice disposto a trattare con il governo purché si affronti la riforma complessiva del welfare state; e con il secondo che per sedersi al tavolo chiede al governo di ritirare la delega sulla riforma delle pensioni. Insomma l’uno e l’altro (come l’alleato Angeletti) scommettono sull’indecisione e sulle possibili divisioni in seno alla maggioranza parlamentare. E più passa il tempo e più questa tattica è destinata a prevalere.

Intanto la deadline è già stata spostata di un mese, da dicembre a gennaio, in coincidenza anche con la verifica politica di governo il cui esito è attualmente difficile da prevedere. Poi – inesorabile – arriverà il terribile ciclo elettorale con le amministrative (per ora ad aprile) e le europee (a giugno). Chi – a quel punto – oserà sfidare la piazza? E chi – oggi – può scommettere che sulle pensioni non stia già scendendo la nebbia?

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