Società

CARI TRENTENNI, FINALMENTE ABBIAMO UN NEMICO

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*Mario Adinolfi e’ il direttore di Media Quotidiano e fondatore del movimento Democrazia Diretta, con cui Wall Street Italia ha avviato una partnership per la ripubblicazione di alcuni commenti. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Che cosa vogliono questi trentenni? Ci sarebbe da fare la rissa, da scazzottarci al grido di “collaborazionisti” e invece voglio rispondere come se fosse un interrogativo serio, non un incipit per un giochino divertente e irridente.

Cosa vogliono questi trentenni? Intanto vogliono avviare un dibattito. Obiettivo, mi pare, centrato. Un dibattito su cosa? Sul tema della generazione invisibile. Esplicitiamo: esiste o no il problema del fatto che un’intera generazione, che anagraficamente potremmo far coincidere con i nati negli Anni Settanta, è completamente assente dai luoghi di potere, è in massima parte avvolta nelle spire del precariato a oltranza, è in gran parte ancora prigioniera delle mura domestiche, è impossibilitata a mettere su famiglia e deve riporre tutte le proprie speranze nelle varie gentili forme di cooptazione da parte dei nati negli Anni Cinquanta, che allungano la paghetta siano essi padri, datori di lavoro, leader politici o correntizi, direttori di giornali?

Se il problema esiste, chi ne paga le conseguenze sono i cosiddetti trentenni o non è il paese, che sconta non a caso un ritardo drammatico rispetto ai competitori? E, sempre se il problema esiste, come si fa a porvi rimedio?

Poiché secondo me il problema esiste e non è una barzelletta da articoletto irridente eterodiretto, mi pongo la questione del porvi rimedio. Io credo che il primo passaggio necessario sia quello del far corpo, del fare massa. Io preferisco dire: del fare rete. Da quando su questo blog si è cominiciato a scrivere e dibattere del tema, non sono mai state invocate primogeniture. Mi tengo solo quella sul termine “generazione invisibile”, visto che ci ho scritto un libro nel 1999 che è stato ripubblicato qualche mese fa.

Per il resto sono stato lieto che coetanei che hanno spazio di visibilità significativa abbiano voluto impadronirsi di questa bandiera. Sono stato lieto del successo di Alessandro Piperno, delle paginate sul Magazine sull’argomento, del confronto che ne è nato, anche della sassata di Guia Soncini sono lieto. Sono lieto di vedere Matteo Orfini porsi (anche) il problema del ricambio generazionale.

Posso dirlo esplicitamente? Io leggo e vedo le cose che produciamo come “generazione” (anche a me il termine fa parecchio schifo, ma che ci volete fare, trovatemene un altro e lo uso) e non le trovo così pessime. Vedo una puntata di Planet 430 (con Luca Telese e Vittorio Zincone) e non mi sembra peggiore di una puntata di Otto e Mezzo, che fa l’uno per cento di share ma è intoccabile. Leggo un articolo di Marco Damilano sull’Espresso e non lo trovo peggiore del diario ulivista di Paolo Franchi sul Corsera. Leggo Francesco Cundari sul Riformista e non penso che Pigi Battista scriva meglio. Vado a vedere un film di Daniele Vicari e non è peggiore dell’ennesimo film sul figlio di Nanni Moretti.

Valerio Mastandrea è più bello e meno prevedibile di Sergio Castellitto, Anita Caprioli vale mille Ornella Muti. Giuseppe Carlotti scrive libri migliori delle solite panzanate di Aldo Busi. Il telegiornale diretto da Mario Giordano è migliore di quello di Clemente Mimun. Media Quotidiano non è peggiore dell’Indipendente di Gennaro Malgieri. In radio preferisco ascoltare Pierluigi Diaco a Platinette. Fabio Volo costruisce trasmissioni più interessanti di Maurizio Costanzo. Meglio i marziani di Fabio Canino degli uomini e delle donne di Maria De Filippi.

La contrapposizione, peraltro, non è necessaria. Ci dovrebbe essere spazio per tutti. Ma Giuliano Ferrara ha deciso che bisognava prenderci di punta e allora, finalmente, abbiamo trovato un nemico: l’Elefantino. L’Elefantino con la sua cricchetta delle Ritanne Armeni, dei Gad Lerner, dei Pigi Battista; l’Elefantino che è riuscito a convincere il suo compagno di vacanze Paolo Mieli a fare del Corsera un grande Foglio. L’Elefantino che domina e coopta e poi i cooptati giocano la sua partita, preferendo diventare collaborazionisti e tradendo la solidarietà generazionale.

Già, perché il nostro problema è tutto lì: quel lungo elenco di trentenni non sa essere solidale. Se può, si tira la pietrata. Siamo tutte vittime di fuoco amico. I cinquantenni, cementati da esperienze di vita forse più forti delle nostre strane indolenze, si chiudono a testuggine. Noi ci spariamo l’un l’altro. Perché la cosa è curiosa: ti rimproverano di essere inconcludente, anche nel divertente articolo di oggi di Guia Soncini. Poi però se fondi un giornale sei velleitario; se ti candidi alle elezioni, che lo fai a fare; se usi i blog sei uno sfigato; se conduci una trasmissione su Sky tantononlavedenessuno; se attacchi sei frustrato; se ti difendi sei arrogante.

Ostinatamente, non mi rassegno all’idea che il contesto sia immodificabile, che l’unico elemento di speranza sia l’attesa della cooptazione, che l’incapacità nostra di fare rete sia strutturale, che la sconfitta sia ineludibile.

Io dò battaglia. Ora che c’è un nemico esplicito di pari peso, con più gusto.

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