Economia

Brexit, l’aplomb del Tesoro: “Non abbiamo piano emergenza”

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ROMA (WSI) – Sterlina sotto attacco, alert dal mercato delle opzioni in stile Lehman, ed economisti che fanno a gara a presentare gli scenari recessivi di un eventuale periodo post Brexit. L’Unione europea a stento nasconde il proprio nervosismo e il mondo teme il collasso dell’Europa. Ma, con quello che è l’inconfondibile aplomb britannico, il Tesoro del Regno Unito ammette di non avere alcun piano emergenza per fronteggiare lo scenario Brexit.

L’ammissione arriva per bocca di Charles Roxburgh, direttore generale della divisione di servizi finanziari del Tesoro, che risponde alla domanda sulla presenza o meno di un piano che garantisca la stabilità finanziaria del Regno Unito anche in caso di vittoria dei sostenitori del Brexit. E che afferma di fatto che non è questo il compito del Tesoro.

“Vi rispondo in modo chiaro e semplice. Non spetta alla politica di governo preparare piani di emergenza. Dunque non stiamo preparando e non prepareremo un piano B, così come abbiamo fatto con la Scozia.  E’ questa la risposta alla vostra domanda”.

Piena manifestazione di aplomb britannico, insomma, che viene smentita tuttavia proprio dalle dichiarazioni che il ministro delle Finanze George Osborne ha rilasciato alla BBC. Dichiarazioni che sembrano intrise più di panico che non di sangue freddo. Così Osborne:

“Con i rischi che incombono sull’economia globale e che sono i più elevati dai tempi del crash, questo si confermerebbe il peggior momento per il Regno Unito per scommettere su un’uscita dall’Ue”. Un’uscita del paese dall’Ue rappresenterebbe un profondo shock economico“.

Ma c’è qualcuno nel Regno Unito che si sta occupando della questione? La risposta è positiva: se ne occuperà la Bank of England, ovvero la banca centrale del paese. Rassicurazioni in tal senso sono arrivate dallo stesso governatore Mark Carney, che ha precisato di lavorare su piani per gestire possibili (certe) turbolenze finanziarie in caso di trionfo del fronte “Out”, nel referendum sul Brexit fissato il 23 giugno.

In seno alla Commissione di politica monetaria dell’istituto, in realtà la preoccupazione non è tanto per le oscillazioni che interesseranno la sterlina. I funzionari si aspettano già di assistere alle forti oscillazioni della monet, fino al giorno del referendum e ovviamente anche dopo.

La vera preoccupazione riguarda piuttosto quelle che saranno le reazioni all’esito del voto, da parte delle aziende e delle famiglie britanniche: le prime continueranno a investire? Le seconde continueranno a spendere?

Così il membro della Commissione, Gertjan Vlieghe:

“E’ possibile che, a un certo punto, l’aumento dell’incertezza da parte degli investitori stranieri finisca per tradursi anche in un aumento dell’incertezza da parte delle famiglie e delle aziende che potrebbero, o magari no, ritardare o ridurre le loro spese. Finora non abbiamo avuto alcuna prova a tal riguardo, ma stiamo monitorando il quadro molto attentamente”.

Sui mercati valutari, la sterlina rimane osservata speciale, dopo che in settimana ha bucato al ribasso anche la soglia di $1,39, scivolando nei confronti del dollaro fino a $1,3879. Nei confronti dell’euro, la moneta ha testato quota 0,7921, al minimo dal dicembre del 2014.

Inoltre, chi fa trading sulle opzioni, si è trovato a pagare per proteggersi contro le oscillazioni della sterlina in sei mesi a valori record dalla crisi che decretò il crac di Lehman Brothers, nel 2008.

Da un sondaggio di Bloomberg emerge che 29 tra 34 economisti intervistati prevedon un calo della sterlina fino a $1,35 o anche al di sotto in caso di Brexit: livelli che non si vedono dal 1985.

La flessione è stata la peggiore dalle elezioni generali del Regno Unito del 6 maggio del 2010, sulla scia delle dichiarazioni del sindaco di Londra Boris Johnson, che ha reso noto che, in occasione del referendum di giugno, spingerà per lo scenario Brexit, a dispetto dell’accordo che il premier David Cameron ha raggiunto nel fine settimana con l’Unione europea.

Immediata la reazione di Moody’s , secondo cui l’eventuale concretizzarsi di uno scenario Brexit danneggerebbe l’economia.

Di conseguenza, in caso di vittoria dello scenario Brexit, l’outlook sul rating potrebbe essere tagliato a “negativo”.