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Brexit, esodo europei è già iniziato

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La rivoluzione non sarà trasmessa in tv. Non succederà in modi spettacolari, assistendo al racconto di commentatori eccitati alla partenza di migliaia di europei dagli aeroporti e dalle stazioni di Londra. L’esodo per effetto della Brexit non sarà vissuto in un solo grande momento a reti unificate. Sarà un cambiamento graduale, ma inesorabile. Un fenomeno che peraltro è già iniziato anche se non è sotto gli occhi di tutti.

A dirlo è uno studio di Deloitte pubblicato in settimana, secondo cui quasi metà dei lavoratori europei più qualificati che al momento risiedono nel Regno Unito potrebbero abbandonare il paese nel giro di cinque anni. Tre milioni di europei vivono a Londra e nelle altre città britanniche: molti di questi non sono affatto contenti delle prospettive di vita loro e dei propri figli nel mondo post Brexit.

Alcuni hanno già lasciato il Regno Unito dopo l’esito choc del referendum del 23 giugno di un anno fa. Altri intendono farlo. Ogni persona del campione interpellato nel sondaggio dice di conoscere almeno un cittadino europeo extra inglese che intende fare le valigie. La gente lascia o prevede di lasciare per paura, per la troppa incertezza politica, legale e lavorativa. C’è poi chi se ne va per protesta, perché dopo il voto pro Brexit del 2016 si sente rifiutato, indesiderato, persona non grata.

Ma non si tratta solo di questo. In fondo anche gli interessi di irlandesi, nordirlandesi, scozzesi e cittadini di Gibilterra non sono stati ascoltati durante la campagna elettorale di un anno prima. Gli europei sono logorati ma anche in un certo senso immuni all’odio che alcuni inglesi provano nei loro confronti, dice Joris Luyendijk in un’editoriale pubblicato oggi sul Guardian: i cittadini europei in suolo inglese si sono rassegnati al complesso di superiorità dei britannici nei confronti degli europei, e agli insulti quotidiani di politici e di giornalisti anche rispettati rivolti non solo all’Ue come autorità ma anche a chi da lì proviene.

Il problema è un altro. Quello che spinge gli europei istruiti e con un buon lavoro ad abbandonare il Regno Unito è un altro fattore, più pratico e meno sentimentale, secondo Luyendijk e secondo la ricerca di Deloitte: una volta fuori dall’Ue, come stabilito con la vittoria del fronte del Leave nel voto sulla Brexit, il paese britannico è semplicemente diventato una meta meno attraente, meno sicura e meno confortevole per un europeo.

Se prevarrà la linea di una Brexit più morbida, le cose saranno gestibili e Londra perderebbe più che altro la sua influenza politica a Bruxelles, pur conservando grossomodo gli accordi pre-esistenti. Ma, come reso evidente anche nell’ultima campagna elettorale, sia il partito dei Labouristi sia il partito conservatore al governo hanno intenzione di perseguire una Brexit “dura”.

“Molti cittadini europei sono giunti alla conclusione che hanno semplicemente sbagliato scelta”, che dopo la Brexit, a prescindere dell’esito dei negoziati iniziati a giugno, il Regno Unito non è più il paese adatto in cui costruire la propria vita e i propri affetti, spiega l’opinionista europeo sul Guardian.

Il problema dell’ultima offerta della premier Theresa May non è che è ingiusta nei confronti degli europei, che vedranno ridotti i propri diritti nel Regno Unito, ma che non getta le basi per una società giusta. È impossibile – in questa situazione – proteggere veramente i cittadini europei. Se i cittadini Ue dovessero mantenere tutti i loro diritti attuali dopo la Brexit, finiranno con l’avere più diritti della popolazione locale. Saranno cittadini di prima classe privilegiati in un paese che non è nemmeno il loro. Gli inglesi non l’accetterebbero e si creerebbero tensioni politiche e sociali.

L’alternativa è una situazione infelice per gli europei residenti nel Regno Unito, in cui chi non ottiene la cittadinanza britannica diventa automaticamente un cittadino di seconda classe. In cui si crea incertezza per il futuro dei propri figli nati in suolo inglese. È quello che i britannici hanno votato per ben due volte, d’altronde, prima con il referendum del 2016 e poi con le ultime elezioni politiche anticipate, che hanno consegnato la vittoria – anche se è stata più risicata del previsto – al partito dei conservatori.

Secondo la maggioranza del popolo britannico gli europei devono andarsene e la metà se ne andrà sul serio.