Gli sviluppi del negoziato fra Regno Unito e Unione Europea – bloccato ancora in una fase di stallo – rischiano di mettere il governo di Theresa May di fronte a due alternative il cui risultato finale è lo stesso: una dura crisi politica per il Paese.
La linea di Bruxelles, infatti, è la seguente: non è possibile ammettere un confine morbido fra Irlanda e Ulster senza che ad esso corrisponda un’adesione all’unione doganale europea. Quest’ultima prescrive la libertà di movimento delle persone, contributi al budget Ue e, soprattutto, preclude una politica commerciale autonoma.
Da questa premessa, la proposta che si è fatta strada consiste nell’elaborare un accordo specifico, all’interno del Brexit deal, che leghi parte del territorio del Regno Unito, nello specifico l’Ulster, alle regole comunitarie.
“Nessun premier britannico”, ha detto May, “accetterebbe di perdere il controllo sull’Irlanda del Nord, mentre l’idea dei controlli doganali all’interno dell’isola è stata categoricamente esclusa dalla Repubblica irlandese”.
Cedere sul fronte irlandese comporterebbe la rinuncia su tutta la linea delle promesse della Brexit; “riprendere il controllo” a queste condizioni, come affermava lo slogan del fronte del Leave, condurrebbe allo scontro con una parte importante del Regno.
Se si escludono gli scenari di nessun accordo con l’Ue o di una clamorosa retromarcia sulla Brexit, non esistono altre possibilità, affermano alcuni funzionari comunitari a Politico. C’è una bomba a orologeria ai piedi di Londra che è pronta a esplodere.
Non è ancora chiaro se su questo aspetto l’Ue sarà inamovibile, ma il tempo continua a scorrere e il 29 marzo 2019, data dell’esecuzione della Brexit, si avvicina.